La rimozione del bendaggio gastrico ha innescato una spirale negativa di eventi a causa dell’errata valutazione nell’approccio chirurgico al paziente e di una condotta imprudente ab initio (Tribunale di Firenze, Sez. II, sentenza n. 1546/2020 del 1 luglio 2020)

I congiunti del paziente deceduto citano a giudizio l’Azienda Sanitaria onde vederla condannare al risarcimento dei danni per la morte del familiare.

Il paziente veniva ricoverato in data 11.05.2001 per “obesità grave in portatore di bendaggio gastrico con grossolano decubito ” ed all’esito di plurimi interventi chirurgici, decedeva in data 4.8.2001.

Si costituisce ritualmente in giudizio la Struttura convenuta contestando la responsabilità ed eccependo la nullità dell’atto di citazione e la prescrizione del diritto.

Preliminarmente il Tribunale afferma che l’eccezione è infondata, in quanto i fatti di causa sono antecedenti all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco N. 24/2017, ed anche la domanda azionata è anteriore alla riforma, per cui trova applicazione il regime previgente della legge Balduzzi.

Vale, pertanto, il termine di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c. e, nella specie, la prescrizione non è maturata, essendo intervenuta l’interruzione del termine con formale diffida e costituzione in mora del 2.8.2010.

La causa viene istruita con CTU Medico-legale, all’esito del quale emerge una condotta inadeguata da parte dei Sanitari.

L’elaborato peritale descrive la condotta dei sanitari suddividendo le tre fasi, preoperatoria, operatoria e postoperatoria.

Nel caso specifico era d’obbligo procedere a gastrotomia di necessità per la rimozione del bendaggio gastrico regolabile (BGR), poiché eroso e decubitante nel viscere, “ma tale procedura doveva essere preceduta da una preparazione pre-operatoria adeguata con astensione/riduzione del fumo, FKT respiratoria e dieta a basso contenuto calorico. Il che non è stato. Si imponeva, inoltre, un’imprescindibile valutazione diagnostico-strumentale pre-operatoria, che non emerge dall’esame della documentazione clinica disponibile. L’unico esame preoperatorio fu una EGDS (esofagogastroduodenoscopia) eseguita solo in sala operatoria”.

“Relativamente alla bontà dell’iter chirurgico praticato è da dire che si imponeva di procedere con un approccio chirurgico di tipo sequenziale, più prudente, limitato a rimuovere il BGR decubitato e riparare la breccia gastrica in sede di decubito, rimandando ad epoca successiva, dopo adeguata rivalutazione diagnostico – strumentale e “riaggiustamento” metabolico-nutrizionale, l’intervento chirurgico bariatrico di conversione (BPD) … La situazione locale e le condizioni generali infatti dovevano suggerire di adottare un atteggiamento prudenziale che riducesse la durata assoluta del tempo operatorio (l’intervento è durato invece quasi 9 ore) ed i rischi chirurgici correlati ad una seconda procedura (BPD), che devono essere presi in considerazione e possono gravare sulla prognosi complessiva”.

“Il decorso successivo all’intervento chirurgico fu del tutto sfavorevole tanto che, dopo dimissione del 2.06.2001, il 3/06/2001 il paziente fu di nuovo ricoverato per ematemesi e melena e stato di shock emorragico originato da sanguinamento del moncone o dell’anastomosi gastro -ileale, distrutta, con apertura a libro dell’ansa ileale transmesocolica ..(..)… Il paziente aveva sviluppato, a seguito della fistolizzazione ileale e superinfezione, un quadro di sepsi e in seguito di shock settico… Un’ infezione postoperatoria profonda è con elevatissima probabilità alla base dello shock settico nel paziente. La causa chirurgica della sepsi appare essere altamente probabile e ragionevolmente possono essere escluse altre cause di shock quali l’ipovolemia o un infarto del miocardio “.

“Su questi presupposti si deve inferire che la prestazione sanitaria non sia stata posta in essere secundum leges artis e che – come risulterà vieppiù chiaro da qui a poco – abbia “innestato una spirale negativa di eventi concatenati che ebbero a condurre a morte il p. Tale spirale negativa risulta essere riflesso dell’errore di valutazione nell’approccio chirurgico al paziente e di una condotta imprudente “ab initio “. Ma non è tutto. La condotta medica è stata contraddistinta da un ulteriore profilo di inadempienza, afferente al tema dell’acquisizione del consenso informato.”

Il Tribunale, al riguardo della violazione del consenso informato osserva che non rileva se il trattamento sia stato eseguito correttamente, o meno.

Ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo nella condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, provocandosi una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica.

Di conseguenza, una volta che sia stata effettuata la diagnosi in esecuzione del contratto, l’illustrazione delle conseguenze della terapia o dell’intervento – al fine di ottenere il necessario consenso all’esecuzione della prestazione terapeutica – costituisce un’obbligazione, il cui adempimento deve essere provato dal medico, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente.

Ciò posto, viene ritenuta pacifica la responsabilità medica in capo ai Sanitari che hanno sottoposto il paziente a un particolare e delicato intervento chirurgico in completa carenza di specifiche informazioni , oltrechè in maniera superficiale per la mancata valutazione delle condizioni preesistenti del paziente.

Riguardo il nesso causale, nella CTU si legge “un’infezione postoperatoria profonda è con elevatissima probabilità alla base dello shock settico del paziente..(..) … La causa chirurgica della sepsi appare essere altamente probabile ” ……”… l’iter chirurgico iniziale, che non si limitò ad una gastrotomia di necessità per rimuovere il bendaggio gastrico decubitato ma procedette verso intervento chirurgico complesso (diversione bilio pancreatica secondo Scopinaro ) ed altamente debilitante per il paziente, ha innescato una spirale negativa di eventi concatenati che ebbero a condurre a morte il p. Tale spirale negativa risulta essere riflesso dell’errore di valutazione nell’approccio chirurgico al paziente e di una condotta imprudente ab initio “.

“Sotto il profilo strettamente quantificativo può valutarsi che nel periodo intercorso tra il primo intervento (14.05.2001) e la morte (04.08.2001) l’uomo versò in stato di inabilità assoluta. Dall’esame della documentazione medica è anche da dire che, fatta eccezione per gli ultimi momenti di vita, il paziente era lucido, orientato e verosimilmente consapevole della gravità delle proprie condizioni cliniche “.

Venendo al ristoro dei danni, previa disamina dei criteri governanti la materia, relativamente ai danni subiti del de cuius, il periodo di inabilità temporanea assoluta è stato stimato in 82 giorni.

Utilizzando le Tabelle milanesi e personalizzando la quantificazione nella misura massima prevista (per la gravità dei fatti e dell’evento, del lungo periodo di inabilità temporanea, delle sofferenze patite e dei molteplici profili di inadempienza che hanno connotato la condotta medica, ivi inclusa l’omessa acquisizione di un puntuale e completo consenso informato), viene liquidato l’importo di euro 12.054,00 a titolo di danno non patrimoniale jure hereditatis.

Nulla, invece, viene riconosciuto a titolo di incompletezza del consenso informato in quanto i danni derivanti coincidono con quelli riconducibili agli errori nei quali i sanitari sono incorsi nel complessivo approccio al caso.

Al riguardo, il Tribunale precisa, che la violazione del dovere di informare il paziente può causare due diversi tipi di danni: a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente, sul quale grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento; b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, in tale ultimo caso di apprezzabile gravità, diverso dalla lesione del diritto alla salute.

Nel caso concreto non v’è riscontro della circostanza che la violazione del dovere informativo abbia prodotto danni diversi dal danno alla salute.

Il fatto che i Sanitari non abbiano acquisito il consenso informato integra un profilo di inadempienza ulteriore che va ad aggiungersi alla condotta chirurgica negligente, in termini di grave inadempimento, che giustifica la personalizzazione già applicata.

Il danno da perdita parentale viene integralmente riconosciuto in capo ai due figli conviventi, ed all’uopo vengono utilizzate le Tabelle romane, in quanto, a differenza di quelle milanesi, ritenute più indicate perché illustrano i criteri di commisurazione del quantum risarcibile, commisurato all’aspettativa di vita del paziente stimata in circa 18 anni per le patologie di cui era già portatore.

Per la figlia viene liquidato l’importo di euro 191.230,65, e per il figlio quello di euro 61.782,21.

In conclusione, il Tribunale condanna l’Azienda Ospedaliera al pagamento, a titolo del danno non patrimoniale jure hereditatis di euro 12.054,00; di euro 191.230,65 alla figlia a titolo di risarcimento del danno da perdita parentale e di euro 61.782,21 al figlio a titolo di risarcimento del danno da perdita parentale.

Spese di lite e di CTU vengono poste a carico dell’Azienda Sanitaria.

Avv. Emanuela Foligno

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