Ad avviso di chi scrive ed in perfetta armonia con il presente sito internet, segnalo ai lettori la sentenza n° 7787, pronunciata dalla Sezione 4° della Corte di Cassazione penale, il 4 novembre 2015, ove è stata fatta chiarezza in merito alla riparazione per ingiusta detenzione ed alla riparazione dell’errore giudiziario, disciplinati dal Codice di Rito.

Tuttavia, prima di addentrarci nel merito di quanto affermato dalla Suprema Corte, è opportuno effettuare delle brevi precisazioni, di tipo prettamente teorico.

Orbene, la riparazione per ingiusta detenzione e la riparazione dell’errore giudiziario sono due istituti giuridici, disciplinati rispettivamente dagli artt. 314 e segg. c.p.p. e 643 e segg. c.p.p..

Per quanto concerne la riparazione per ingiusta detenzione, occorre, innanzitutto, distinguere tra ingiustizia sostanziale, disciplinata dall’art. 314 co. 1 c.p.p., la quale presuppone la conclusione del procedimento penale con l’emissione di una sentenza irrevocabile di proscioglimento nel merito ovvero un provvedimento equivalente (quale, ad esempio, il decreto di archiviazione emesso dal G.I.P.), ed ingiustizia formale, ex art. 314 co. 2 c.p.p., la quale, per contro, presuppone l’illegittimità del titolo costitutivo della custodia cautelare.

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione viene presentata dall’interessato ovvero dal suo difensore, munito di apposita procura speciale, presso la competente Cancelleria della Corte di Appello, corredata da tutta la pertinente documentazione, tra cui, in particolare, il provvedimento di proscioglimento dell’istante, munito dell’apposita attestazione di irrevocabilità.

Inoltre, per quanto riguarda la riparazione dell’errore giudiziario, l’istituto giuridico in esame presuppone la sussistenza di un giudizio di revisione, inteso quest’ultimo quale mezzo di impugnazione straordinario ed eccezionale, esperibile senza limiti di tempo avverso un provvedimento di condanna divenuto irrevocabile.

Dunque, risulta evidente, da un punto di vista squisitamente pratico, che entrambi gli istituti in esame prevedono il pagamento di un importo, irrogato dallo Stato, in favore del richiedente.

Tuttavia, la Giurisprudenza di Legittimità, nel corpo della motivazione della sentenza individuata dal n° 7787/15, ha voluto circostanziare, in maniera definitiva, quanto segue.

Invero, si evince per tabulas che la Suprema Corte ha chiarito che entrambi gli istituti giuridici non hanno natura risarcitoria, bensì i medesimi rappresentano una mera indennità ovvero indennizzo, irrogato in favore di chi è stato ingiustamente privato della propria libertà personale (riparazione per ingiusta detenzione) ovvero ingiustamente condannato (riparazione dell’errore giudiziario), alla luce dei principi di solidarietà sociale.

In particolare, gli Ermellini hanno affermato che, con espresso riguardo ai due istituti giuridici in esame, non può parlarsi di risarcimento del danno derivante da illecito aquiliano, in quanto il medesimo presuppone una responsabilità a titolo di dolo ovvero di colpa dello Stato.

Infine, la Suprema Corte, nella sentenza oggetto di disamina da parte del sottoscritto, ha statuito che, per quanto concerne il quantum da irrogare, a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione patita, occorre effettuare il seguente, mero, calcolo aritmentico: € 235,08 moltiplicato per ogni giorno di carcerazione sofferta, fino ad un limite massimo di € 516,456,90.

Per contro, con specifico riguardo al quantum da irrogare, a titolo di riparazione dell’errore giudiziario, uniformandosi a precedenti pronunce, ha asserito che l’A.G. competente è tenuta a risarcire, laddove ne ricorrano i presupposti di Legge, oltre ai danni patrimoniali, anche quelli non patrimoniali (danno biologico, danno morale e danno esistenziale).

Avv. Aldo Antonio Montella
(Foro di Napoli)

 

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