Sarcoidosi cardiaca del lavoratore e discriminazione (Tribunale Lecco, Sez. lavoro, 9 febbraio 2023).

Lavoratore affetto da sarcoidosi cardiaca viene addetto a mansioni inferiori: è discriminatorio.

La decisione qui a commento, che tratta della tutela antidiscriminatoria, segue il giudizio di impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, all’esito del quale il Tribunale dichiarava la nullità del licenziamento intimato con condanna alla reintegra nel posto di lavoro.

Parallelamente il lavoratore intraprendeva altro giudizio invocando la tutela antidiscriminatoria. Il medesimo, affetto da sarcoidosi cardiaca, con una sensibile riduzione della capacità lavorativa (accertata dall’I.N.P.S. nella misura del 67%), non contesta l’inidoneità alla mansione di autista precedentemente svolta, ma deduce che il datore di lavoro avrebbe potuto adibirlo alle mansioni di agente di movimento addetto alla sala operativa, avendo già partecipato nel 2020 al bando di selezione interna per ricoprire tale mansione ed essendosi utilmente collocato al quarto posto in graduatoria. In sostanza, il ricorrente sostiene l’equivalenza di tali ultime mansioni a quelle precedentemente ricoperte di autista e lamenta che le mansioni di addetto alle pulizie, cui il datore di lavoro lo adibiva a causa della patologia di sarcoidosi cardiaca, appartengano ad altra area professionale e rappresenterebbero una discriminazione diretta con conseguente violazione dell’art. 3, comma 3 bis. D.lgs. n. 216/2003.

Il datore di lavoro sostiene che la mansione di addetto alle pulizie è l’unica alla quale il ricorrente sarebbe stato dichiarato idoneo dal Medico competente.

Preliminarmente il Tribunale osserva che il comma 3 bis dell’art. 3 del D.lgs. 216/2003 stabilisce che “al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3/3/2009 n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena uguaglianza con gli altri lavoratori”.

Per pacifica definizione normativa è discriminatoria la condotta del datore di lavoro che non adotti i “ragionevoli accomodamenti”, volti a garantire al lavoratore disabile parità di trattamento rispetto agli altri lavoratori.

Sulla portata dei citati “accomodamenti” è già intervenuta la Suprema Corte per delimitarne la nozione.  Ebbene (Cass. n. 6497/2021), per accomodamenti devono intendersi adeguamenti, lato sensu, organizzativi che il datore di lavoro deve porre in essere al fine di “garantire il principio della parità di trattamento dei disabili” e che si caratterizzano per la loro appropriatezza, ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l’attività lavorativa e ciò entro il limite, rinvenibile nella definizione della Convenzione ONU del 2006, che tale accomodamento non imponga “un onere sproporzionato o eccessivo”, come quando richieda “un onere finanziario sproporzionato”, ma con la precisazione che la soluzione non è sproporzionata allorché l’onere sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili.

Quanto all’ulteriore requisito della “ragionevolezza”, la Suprema Corte ha chiarito che se può sostenersi che ogni costo sproporzionato, inteso nella sua accezione più ampia di “eccessivo” rispetto alle dimensioni ed alle risorse finanziarie dell’impresa, renda l’accomodamento di per sé irragionevole, non è necessariamente vero il contrario, perché non può escludersi che, anche in presenza di un costo sostenibile, circostanze di fatto rendano la modifica organizzativa priva di ragionevolezza, avuto riguardo, ad esempio, all’interesse di altri lavoratori eventualmente coinvolti.

Ciò posto, sia in caso di licenziamento discriminatorio, sia in caso di condotta discriminatoria, che adibisca il lavoratore malato/disabile a mansioni non adeguate alla sua professionalità, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del dipendente, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (Cass. n. 5592 del 2016; Cass. n. 12101 del 2016; Cass. n. 20436 del 2016; Cass. n. 160 del 2017; Cass. n. 9869 del 2017; Cass. n. 24882 del 2017; Cass. n. 27792 del 2017). Ergo, il datore di lavoro ha sostanzialmente l’onere di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti, di tipo indiziario o presuntivo idonei circa l’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale. A ciò si aggiunge l’ulteriore onere probatorio inerente l’obbligo di accomodamento ragionevole.

Ragionando in tal senso, l’onere gravante sul datore di lavoro potrà essere assolto mediante l’allegazione che il datore abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto. Ovviamente il datore di lavoro potrà anche dimostrare che eventuali soluzioni alternative, pur possibili, fossero prive di ragionevolezza, magari perché coinvolgenti altri interessi preminenti, ovvero fossero sproporzionate o eccessive, a causa dei costi finanziari o di altro tipo ovvero per le dimensioni e le risorse dell’impresa.

Non è quindi sufficiente, per il datore di lavoro, allegare le difficoltà che possono sorgere nell’operare nel senso richiesto, ma occorre dimostrare che le difficoltà lamentate siano tali da determinare costi insostenibili o irragionevoli, o una destabilizzazione dell’assetto organizzativo dell’azienda, o che si tratti di andare ad incidere sull’interesse degli altri lavoratori (Cass. n. 27243/2018).

Alla luce di tali principi, il Tribunale ritiene che la società datrice non abbia dato prova di avere compiuto uno sforzo adeguato, nel senso di proporre al lavoratore una mansione alternativa, adatta alla sua professionalità e diversa dalla mansione di autista, cui è diventato inidoneo.

Non vi è dubbio -osserva il Giudice-  che le mansioni di addetto alle pulizie siano del tutto estranee alla professionalità del lavoratore, che ha sempre svolto le mansioni di autista e che ha anche superato la selezione interna per la posizione di addetto alla sala operativa. La circostanza che gli addetti alla sala operativa, in base alla turnistica vigente, svolgano anche turni di guida, non esclude che -proprio sulla base di una differente turnistica – il lavoratore possa essere addetto in via esclusiva alla sala operativa ed esentato da attività di guida. Né la datrice, parte resistente, ha efficacemente argomentato sull’impossibilità di organizzare turni diversi o, in alternativa, sull’eccesiva onerosità finanziaria di tale soluzione.

In definitiva, l’avere adibito il lavoratore a mansioni di pulizia rappresenta una condotta discriminatoria da parte del datore di lavoro, che non ha dimostrato di avere adottato ragionevoli accomodamenti per adibire il lavoratore affetto da sarcoidosi cardiaca a mansioni confacenti alla sua professionalità.

Conclusivamente, il Tribunale ordina al datore di lavoro di cessare la condotta discriminatoria, adottando i ragionevoli accomodamenti previsti dalla legge, volti ad adibire il lavoratore a mansioni che siano idonee al suo stato di disabilità ed alla sua professionalità; rigetta la domanda di risarcimento del danno avanzata dal lavoratore essendo mancante la relativa allegazione.

Avv. Emanuela Foligno

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