In materia di sequestro probatorio non è sufficiente il richiamo agli articoli di legge violati o agli “atti di indagine”, dovendosi invece motivare il reato contestato, la finalità probatoria perseguita e la connessione dei beni sottoposti a tale vincolo

La vicenda

Il Tribunale della libertà di Foggia aveva confermato il decreto di sequestro probatorio, disposto a seguito di perquisizione, avente ad oggetto “un PC portatile, documentazione varia e due penne USB”, rinvenuti presso lo studio professionale e l’abitazione di un assessore comunale, indagato per il reato di concussione.

I fatti addebitati, riguardavano alcune gare di appalto per le quali era sorta “l’esigenza di approfondimenti investigativi al fine di avere un riscontro sulle modalità di aggiudicazione e verificare se l’azione amministrativa fosse stata piegata al perseguimenti di personali interessi economici”.

Contro l’ordinanza del giudice foggiano, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, articolando un unico motivo di ricorso, con cui lamentava la violazione di legge in relazione alle norme previste dal codice di rito in materia di sequestro probatorio.

Il provvedimento impugnato, a detta del ricorrente, era viziato per non aver chiarito: a) il nesso di pertinenza tra le cose sequestrate ed il reato in questione, e quindi, la finalità probatoria perseguita; b) la legittimità del decreto, per non aver chiarito la condotta penalmente rilevante attribuibile al soggetto indagato; c) il principio di proporzionalità del disposto sequestro.

Ebbene, il ricorso è stato accolto.

A differenza di quanto sostenuto dal Tribunale del riesame – per i giudici della Cassazione (n. 7639/2019)  – non è sufficiente richiamare gli articoli di legge che si assumono violati e gli atti di indagine, “perché da una parte, detto richiamo non consente di comprendere nulla in ordine alle ragioni concrete che hanno indotto il pubblico ministero a disporre il provvedimento e, dall’altra, si prestano a giustificare, a posteriori, e dunque, in maniera non consentita, qualunque esito dell’attività di ricerca della prova, come accaduto nel caso di specie.”

È stato perciò affermato che “l’obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possono considerarsi il corpo del reato ovvero cose ad esso pertinenti ed alla concreta finalità probatoria perseguita, con l’apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del vene che si intende sequestrare, non essendo sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, descrivere i fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita”. (Cass. n. 3604/2019; n. 26733/2018).

Ebbene, nel caso in esame, come lamentato dal ricorrente, il decreto di sequestro e l’ordinanza impugnata non consentivano di chiarire per quale reato in concreto si stesse procedendo ed erano, inoltre privi di motivazione: 1) sulla concreta individuazione dei beni da sottoporre a sequestro: 2) sul perché detti beni avrebbero costituito corpo del reato o cose pertinenti al reato; 3) su quale fosse la finalità probatoria perseguita.

Per tutte queste ragioni, il provvedimento impugnato è stato annullato senza rinvio con conseguente restituzione di quanto sequestrato agli aventi diritto.

Avv. Sabrina Caporale

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