L’illecito è previsto dall’articolo 405 del codice penale. La Cassazione si è pronunciata sulla condanna di due fedeli accusati di coprire la voce delle altre persone presenti in chiesa

Turbamento delle funzioni religiose. Il nostro ordinamento prevede, all’articolo 405 del codice penale, una fattispecie di reato ad hoc per chiunque impedisca o turbi “l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico”. L’illecito è punito con la reclusione fino a due anni mentre, se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni.
Con la sentenza n. 3072/2017, la Corte di Cassazione si è pronunciata proprio sul ricorso presentato da due fedeli, condannati in primo e in secondo grado, rispettivamente dal Tribunale di Torre Annunziata e dalla Corte d’appello di Napoli, per aver sostanzialmente pregato a voce troppo alta, coprendo la voce delle altre persone presenti in chiesa.
Più specificamente, i due imputati sono stati ritenuti colpevoli “per avere, in concorso tra loro e con altri, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di fedeli del culto cristiano evangelico frequentatori delle funzioni religiose celebrate nella chiesa di tale culto, impedito e turbato l’esercizio delle funzioni, cerimonie e pratiche di culto celebrate dai ministri competenti, in particolare pregando ad alta voce al fine di coprire la voce dei celebranti e degli altri fedeli e insultando e minacciando reiteratamente i celebranti e gli altri fedeli presenti alle funzioni”.
I fedeli decidevano quindi di impugnare la sentenza del Giudice d’appello per Cassazione, chiedendone l’annullamento, sulla base della considerazione secondo cui l Corte di econdo grado non aveva tenuto conto di una testimonianza in base alla quale “le provocazioni da parte degli imputati erano avvenute dopo la fine del culto e non avevano, perciò, interrotto o turbato il culto stesso”. Un altro testimone, inoltre, aveva riportato che “si era trattato semplicemente di una preghiera svolta ad alta voce dagli imputati”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto di non accogliere le argomentazioni proposte, rigettando il ricorso. Secondo gli Ermellini, infatti, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione, dando conto, in maniera amplia e dettagliata, delle regioni della responsabilità penale. In particolare la Suprema Corte ha evidenziato che la sentenza di appello era frutto delle dichiarazioni convergenti di più testimoni, “precise e concordi nella sommaria descrizione dei diversi episodi, verificatisi per un lasso di tempo non modesto”. Non aveva alcuna rilevanza, inoltre, il movente, rappresentato da dissidi all’interno della comunità religiosa”.

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