I giudici hanno condannato un medico a tre anni per violenza sessuale sulla nipote di una paziente. I fatti risalgono ad agosto 2009

È stato condannato dai giudici per violenza sessuale sulla nipote di una paziente un medico dell’ospedale di Rovigo.

La condanna è stata abbassata da tre anni e mezzo a tre anni, ma la sentenza di Appello non ha apportato altre modifiche sostanziali alla situazione del professionista, oggi alle soglie dei 70 anni e in pensione.

Il medico è stato ritenuto colpevole di violenza sessuale sulla nipote di una paziente, che nell’agosto del 2009 era ricoverata nel suo ospedale.

Ecco come sono andati i fatti.

La donna si sarebbe recata in ospedale per visitare l’anziana donna, ricoverata.

Qui, si sarebbe sentita proporre dal medico un “massaggio defatigante” nel suo ambulatorio, poi trasformatosi in violenza vera e propria.

In primo grado, nel 2014, per il medico era arrivata una condanna a tre anni e mezzo. Lunedì 22 gennaio, la stessa è stata ridotta a tre anni, con il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Nulla di immutato, invece, per le statuizioni civili, con la presunta vittima che, assistita dall’avvocato Patrizia Vecchia, ha visto confermata la provvisionale da liquidarsi poi in sede civile, pari a 15mila euro.

Al momento della lettura della sentenza di primo grado, l’imputato, difeso dall’avvocato Palmiro Franco Tosini, non ha nascosto la propria delusione.

“Io sono l’imputato. Non ho fatto niente e mi trovo con una condanna a tre anni e mezzo. Posso dire che in questo paese la giustizia non esiste”, ha dichiarato.

Una causa difficile, anche perché in aula le due versioni di accusa e difesa erano apparse diametralmente opposte.

La giovane donna, infatti, sostiene che il medico la avrebbe pesantemente palpeggiata, infilandole due dita nella vagina. Mentre il medico ha sostenuto che fosse stata la donna a trasformare il massaggio in un atto sessuale, ma che lui si oppose con fermezza.

Al suo rifiuto, la stessa gli avrebbe detto che era abituata ad avere quello che voleva e prima di andarsene gli avrebbe lasciato un post it col numero di telefono. Poi, sarebbe cominciata una sorta di persecuzione, anche con chiamate telefoniche al medico.

Due versioni molto distanti, ma a prevalere è stata quella della donna.

L’approdo adesso appare la Cassazione, per il terzo e definitivo grado di giudizio.

 

 

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