L’autorizzazione ad allontanarsi dagli arresti domiciliari è istituto di carattere eccezionale, la cui valutazione deve essere improntata a criteri di particolare rigore, tra cui non è ricompresa l’attività di volontariato

La vicenda

In riforma del provvedimento della Corte d’appello di Bari che aveva autorizzato l’imputato, già sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, allo svolgimento di attività di volontariato, il Tribunale di Bari, in sede di appello, proposto dal PM ex art. 310 c.p.p., ne revocava l’autorizzazione.

L’imputato svolgeva attività di volontariato presso la Parrocchia di zona e, al tempo stesso, seguiva un percorso di recupero personale e di reinserimento sociale.

A sua detta l’ordinanza di revoca dell’autorizzazione in questione era errata laddove escludeva che la suddetta attività corrispondesse ad una “indispensabile esigenza di vita”, tale da giustificare l’allontanamento dagli arresti domiciliari.

La Quarta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 38652/2019) ha dichiarato il ricorso infondato.

La giurisprudenza della Corte di legittimità è costante nel ritenere che l’autorizzazione di allontanarsi dagli arresti domiciliari per “indispensabili esigenze di vita” sia istituto di carattere eccezionale, la cui valutazione deve essere improntata a criteri di particolare rigore, e che in esse non possa essere ricompresa l’attività di volontariato.

È stato infatti affermato che, in tema di misure cautelari personali, la necessità di intraprendere un percorso rieducativo tramite la partecipazione ad attività di volontariato non rientra tra le indispensabili esigenze di vita, che, ai sensi dell’art. 284 c.p.p., comma 3, consentono di ottenere dal giudice l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, attesa la natura eccezionale di tale previsione (Sez. 3, n. 15426 del 08/03/2016).

Perciò – hanno chiarito gli Ermellini – “il riferimento del ricorrente alla L. n. 266 del 1991 è destituito di fondamento, oltre che superato dalla sopravvenuta disciplina di cui al D.Lgs. n. 117 del 2017 (c.d. codice del terzo settore), che ha riordinato tutta l’attività del cd. “terzo settore”. In particolare, tale normativa ha ribadito che l’attività di volontariato è incompatibile con quella del lavoratore subordinato o autonomo”.

In sostanza, non è possibile equiparare l’attività di volontariato espletata dal ricorrente con una attività lavorativa gratuita, come dallo stesso preteso.

Sul punto, peraltro, la giurisprudenza lavoristica della Cassazione ha già evidenziato che, alla stregua di quanto disposto dalla L. 11 agosto 1991, n. 266, art. 2 (secondo cui “l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario”, ed inoltre “la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte”), non ricorrono gli estremi della prestazione di volontariato nel caso in cui, per l’attività espletata, siano state corrisposte somme di danaro (Sez. Lavoro, Sentenza n. 9468 del 18/04/2013), con ciò confermando l’ontologica incompatibilità fra l’attività di volontariato e quella lavorativa.

Per queste ragioni, il ricorso è stato rigettato con ulteriore condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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