Recenti studi sull’Alzheimer dimostrano che l’ascolto della musica è in grado di migliorare la qualità della vita del paziente in modo significativo

Che la musicoterapia sia uno strumento prezioso nella cura di diverse patologie è un dato ormai acclarato, ma è recente la scoperta secondo cui, nei pazienti affetti da Alzheimer, questa possa ridurre stati di ansia e irrequietezza.
Lo ha dimostrato uno studio statunitense, coordinato dalla Brown University e pubblicato sull’American Journal of Geriatric Psychiatry, secondo il quale l’ascolto di una playlist personalizzata con le canzoni preferite del paziente potrebbe non solo fare diminuire l’ansia e il senso di disorientamento, ma addirittura portare a una sostanziale diminuzione nell’assunzione di farmaci come ansiolitici e antipsicotici.
Lo studio della Brown University ha preso in esame quasi 13.000 anziani ricoverati in 98 case di riposo statunitensi che, nel 2013, avevano preso parte al programma dell’organizzazione no-profit “Music & Memory”, con l’obiettivo di migliorare l’interazione dei pazienti col mondo esterno risvegliando i ricordi attraverso l’uso della musica.
I dati, raccolti prima e dopo la sperimentazione, sono stati poi confrontati con quelli di 12.800 anziani ospitati presso 98 case di riposo più tradizionali, che non avevano aderito al programma sperimentale.
I risultati dello studio sono stati sorprendenti, evidenziando come l’ascolto della musica preferita favorisca la sospensione dei farmaci antipsicotici. In tutte le case di riposo che avevano aderito al programma “Music & Memory” il tasso di discontinuità delle cure è salito dal 17,6% fino al 20,1%, mentre nelle case di riposo tradizionali è rimasto stabile al 15%.
Per quanto concerne l’uso di farmaci ansiolitici, il tasso di discontinuità è salito dal 23,5% al 24,4% con la musica, mentre senza è sceso dal 24,8% al 20%.
Ma non è tutto. Tra i benefici visibili e documentati derivanti dall’ascolto della musica, è stato rilevato un miglioramento notevole nel controllo dei comportamenti aggressivi e distruttivi, un dato che fa sicuramente ben sperare considerati gli sforzi della ricerca attuale di proporre approcci che non implichino esclusivamente l’uso dei farmaci nella cura dell’Alzheimer.
“Sempre più spesso – ha dichiarato Rosa Baier, della Brown University – si cercano forme di intervento non farmacologico per controllare i comportamenti legati alla demenza – e questo studio è molto promettente: rappresenta un primo passo per capire che potrebbero esserci dei miglioramenti attribuibili all’intervento con musica personalizzata”.

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