Automezzo lava strade perde il controllo e si ribalta e l’AMSA chiede il risarcimento dei danni al lavoratore (Cassazione civile, sez. lav., dep. 31/05/2022, n.17711).

Automezzo lava strade si ribalta e vengono chiesti i danni al lavoratore conducente del mezzo.

La Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, condannava il lavoratore al risarcimento del danno pari ad Euro 24.877,50, in favore del datore di lavoro AMSA S.P.A., nonché alla rifusione delle spese di CTU ed alla rifusione delle spese di lite del doppio grado.

Il lavoratore, mentre si trovava alla guida dell’automezzo lava-strade, in prossimità di incrocio semaforizzato, perdeva il controllo e si ribaltava sul fianco destro. La Polizia Locale accertava che il manto stradale non presentava anomalie, era asciutto al momento del sinistro, non erano presenti segni di frenata, la visibilità era buona, il traffico normale, il semaforo regolarmente funzionante. Il lavoratore riportava trauma cranico minore e poli-contusione con prognosi di 20 giorni, e dichiarava di non ricordare nulla dell’incidente. L’azienda municipale irrogava al lavoratore la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 10 giorni; agiva in giudizio per il risarcimento dei danni, quantificati in Euro 30.286,81 (differenza tra il valore commerciale del mezzo al momento del sinistro, detratto il valore dei pezzi di ricambio riutilizzati) sulla base di rapporto dei propri uffici interni.

Il Tribunale respingeva il ricorso dell’Azienda Municipale, per difetto di prova del danno, in quanto il veicolo incidentato era stato messo definitivamente fuori servizio prima del giudizio e non erano stati chiariti i criteri di quantificazione dei danni materiali.

La Corte d’Appello osservava, invece, che la responsabilità del sinistro era da ricondurre a violazione dell’obbligo di diligenza da parte del lavoratore. La dinamica dell’evento, ossia la perdita di controllo dell’automezzo lava strade da parte dell’autista, non era stata da questi contestata, e dal rapporto della Polizia Locale erano stati esclusi fattori esterni nella causazione del sinistro. Il sinistro doveva perciò ritenersi avvenuto per imperizia del lavoratore.

Il lavoratore, soccombente in secondo grado, propone ricorso per Cassazione.

Il ricorrente lamenta che la Corte milanese avrebbe errato nell’aver fatto conseguire la sua responsabilità nel sinistro da una dichiarazione avente in realtà carattere neutro (la perdita di controllo del mezzo) e nell’avergli imputato di non avere allegato alcun fattore esterno influenzante la dinamica dei fatti.

Secondo il ricorrente, la perdita del controllo del mezzo è unicamente un dato oggettivo, le sue affermazioni non configurano un’ammissione di responsabilità, né è addebitabile al lavoratore la mancata allegazione di fattori esterni. Da una parte, egli aveva subito un trauma cranico, non gli era stata elevata alcuna contravvenzione, era risultato negativo alla presenza di alcool nel sangue; d’altra parte, la rottamazione del mezzo incidentato prima del giudizio aveva impedito la possibilità di provare eventuali difetti meccanici o di manutenzione del veicolo.

Con il secondo motivo censura la responsabilità ascrittagli nella causazione dell’incidente.

Le doglianze non sono fondate.

Ai fini dell’affermazione della responsabilità del lavoratore verso il datore di lavoro per un evento dannoso verificatosi nel corso dell’espletamento delle mansioni affidategli, è onere del datore di lavoro fornire la prova che l’evento dannoso è da riconnettere ad una condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza, e cioè in rapporto di derivazione causale da tale condotta, mentre, una volta assolto tale onere, il lavoratore è tenuto a provare la non imputabilità a sé dell’inadempimento.

I Giudici d’appello hanno valutato le prove sulla base dell’apprezzamento degli elementi di fatto acquisiti agli atti, inclusi gli elementi presuntivi, valorizzando gli accertamenti della Polizia lLcale giudicati maggiormente convincenti rispetto alle ipotesi formulate dal consulente del lavoratore, non riscontrate.

Tale ragionamento non presenta vizi e non è consentita alla Suprema Corte la revisione del ragionamento decisorio, né la rivalutazione dei fatti.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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