Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, da parte di chi assume di aver contratto una malattia per contagio da emotrasfusioni, decorre dal giorno in cui il medico fornisce specifica indicazione della patologia

La corte d’appello aveva ritenuto prescritto il diritto delle ricorrenti di agire per il risarcimento del danno subito dalla madre per il contagio da virus HCV a seguito di emotrasfusione, ancorando la decorrenza della prescrizione al momento in cui, nel 1990, la stessa acquisiva conoscenza dell’esito degli esami sierologici di laboratorio del contagio, pur in mancanza di prova di una chiara riconducibilità causale dell’evento dannoso al fatto della trasfusione.

La vicenda

Nel 1978, la madre delle due ricorrenti veniva sottoposta ad un’unica trasfusione a seguito di una gravidanza extrauterina. Sottopostasi ad esami per un ittero, nel 1990 scopriva di essere positiva al virus HCV ma, in mancanza di altri elementi atti a farle ricondurre il contagio all’unica trasfusione, solo nel 1999, a seguito del clamore mediatico suscitato dal propagarsi di casi di contagio di HCV da trasfusioni, presentava domanda alla Commissione Medico Ospedaliera per ottenere la corresponsione dell’indennizzo, di cui alla legge n. 210 del 1992 e, nel 2002, agiva in giudizio per il risarcimento dei danni, dapprima nei confronti della ASL e, successivamente (nel 2003), estendo la domanda di responsabilità extracontrattuale nei confronti del Ministero.

Il giudizio, iniziato a S. Maria Capua Vetere, riassunto a Napoli, si interrompeva per la morte della danneggiata e veniva proseguito dalle sue due figlie. In primo grado il tribunale partenopeo accoglieva la domanda risarcitoria per oltre 300.000,00 euro, rigettando l’eccezione di prescrizione del Ministero, facendo decorrere la prescrizione dalla presentazione della domanda amministrativa di cui alla citata legge n. 210/1992.

La corte d’appello ribaltava l’esito del processo, collegando il decorso della prescrizione dalla data diversa e antecedente, risalente al 1991, di conoscenza del referto di laboratorio.

La Sesta Sezione Civile della Cassazione (sentenza n. 24164/2019) ha accolto il ricorso delle familiari della vittima perché fondato.

Invero, la corte d’appello si era discostata, senza una convincente motivazione in ordine alla preferenza di una diversa soluzione, all’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di exordium praescriptionis, secondo il quale tale termine non può essere fatto decorrere da un momento antecedente a quello in cui possa ritenersi conseguita, o conseguibile con l’ordinaria diligenza in capo alla vittima, la riconducibilità causale della malattia alla sua causa scatenante, e quindi ai possibili responsabili.

La Cassazione ha già chiarito che “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo, decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo.

Incorre pertanto, nella falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione”.  (Cass. n. 13745/2028).

Ebbene, i giudici della Suprema Corte hanno aggiunto che “sebbene il dies a quo della prescrizione non possa essere identificato, unitariamente e per tutti i soggetti che hanno subito il contagio, nel giorno della presentazione della domanda per la corresponsione dell’indennizzo, in quanto esso costituisce solo il momento ultimo di decorrenza iniziale del termine di prescrizione, in corrispondenza de quale è ragionevole attendersi che il soggetto contagiato, proprio perché si è attivato a richiedere l’indennizzo, disponga delle necessarie informazioni per ricondurre causalmente il contagio verificatosi all’evento scatenante, d’altro canto, è sbagliato equiparare la mera diagnosi (nel caso di specie, di epatite C) alla consapevolezza in capo alla vittima della riferibilità di essa alla trasfusione, in mancanza di altri elementi e senza alcun ulteriore approfondimento riguardo al fatto se, in occasione della predetta diagnosi, la vittima fosse stata in qualche modo messa sull’avviso circa una qualche importanza  – se non della rilevanza -, della pregressa trasfusione, in relazione alla condizione che dopo l’anamnesi e la eventuale visita le si è diagnosticato”.

La pronuncia della Cassazione

Quanto al caso in esame, nella sentenza impugnata non era emerso alcun dato in ordine alla percepibilità da parte della danneggiata, della ascrivibilità della malattia diagnosticatale alla trasfusione. Ciò sarebbe potuto accadere solo se fossero state fornite dal sanitario, nel referto, informazioni atte a consentire alla predetta il collegamento con la causa della patologia o se ella fosse stata posta in condizione di assumere tali conoscenze.

In mancanza di tali conoscenza, per i giudici della Suprema Corte, ha errato il giudice di secondo grado nel desumere dal dato dell’anamnesi l’acquisizione da parte della vittima della consapevolezza: essa, pur in mancanza di tali informazioni, sarebbe stata configurabile solo se la donna, avesse avuto e si fosse dimostrato che avesse un livello di conoscenze mediche tali da porla in condizione di ricollegare la malattia diagnosticatale alla trasfusione.

In definitiva è stato ribadito che la consapevolezza idonea a far decorrere il termine di prescrizione è da apprezzarsi tenendo conto che per il quivis de populo il naturale mediatore della conoscibilità della riconducibilità, allorquando non si dimostri una sua particolare attitudine ad acquisirla, non può che essere l’indicazione specifica del medico al riguardo.

Il ricorso è stato, perciò, accolto e la causa rinviata alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, per l’ulteriore corso.

Avv. Sabrina Caporale

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