La coabitazione, in virtù del mutato assetto della società, assume un rilievo recessivo ai fini della configurabilità di una convivenza more uxorio

Perse la vita su un cantiere di lavoro, precipitando nel vano ascensore di un albergo mentre erano in corso i lavori di ristrutturazione. La compagna del defunto, in virtù della convivenza more uxorio con il defunto, aveva agito in giudizio nei confronti della società immobiliare proprietaria dell’edificio, per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali.

La pretesa era stata respinta sia in primo grado che in appello. Il Giudice di prime cure aveva ritenuto che mancasse la prova del rapporto di convivenza. Le prove orali, infatti, avevano dato esito contrastante, e dalle risultanze era emerso che l’attrice risiedeva in un paese diverso da quello della vittima.

La Corte territoriale aveva confermato la decisione. Il Giudice d’appello aveva riconosciuto l’esistenza di un legame affettivo e di una relazione di coppia. Tuttavia il rapporto non sarebbe stato caratterizzato “da quella stabilità e continuità che legittimano il convivente di fatto ad agire per i danni da perdita del rapporto affettivo ed eventualmente per i danni patrimoniali conseguenti alla morte del convivente”.

Di qui il ricorso della donna per cassazione della sentenza impugnata. La Suprema Corte, con sentenza n.9178/2018, ha ritenuto effettivamente di accogliere le argomentazioni presentate.

Secondo gli Ermellini, il Giudice a quo avrebbe commesso una serie di errori ‘in diritto’. Uno di tali errori ricadrebbe, in particolare, sulla nozione di convivenza di fatto giuridicamente rilevante e meritevole di tutela anche sotto il profilo risarcitorio.

“E’ noto – spiega la Cassazione – che si riconosce al convivente di fatto il diritto, in caso di perdita del convivente, ad una uguale tutela rispetto al soggetto coniugato in caso di perdita del coniuge”.

Ai fini del riconoscimento della convivenza di fatto, la giurisprudenza ha indicato nella coabitazione un indice rilevante e ricorrente. Tuttavia, per gli Ermellini, questa non deve essere ritenuta imprescindibile al punto da escludere una convivenza in sua mancanza.

La coabitazione, infatti, è destinata ad assumere ormai un rilievo recessivo ai fini della configurabilità di una convivenza di fatto. Ciò si deve soprattutto al mutato assetto della società, collegato in particolare alle conseguenze di una prolungata crisi economica.

I cambiamenti sociali hanno portato, sempre più frequentemente, all’instaurazione e mantenimento di rapporti affettivi stabili a distanza, inducendo a ripensare il concetto stesso di convivenza.

La scelta del luogo di abitazione, talvolta, può essere necessitata dalle circostanze economiche o dalla necessità di accudire i familiari. Inoltre il mercato del lavoro non garantisce una regolare coincidenza del luogo di svolgimento del rapporto lavorativo con quello di abitazione familiare. Le prospettive di carriera, poi, portano a spostarsi in luoghi diversi da quelli di ove si ha il proprio centro affettivo.

Sono tutte situazioni in cui può comunque  esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti.

Alla luce di questi elementi, secondo la Suprema Corte, non ha più senso appiattire la nozione di convivenza sull’esistenza di una coabitazione costante tra partner.

In conclusione, la Cassazione, chiarisce che si ha convivenza more uxorio, rilevante anche ai fini della risarcibilità del danno subito da un convivente in caso di perdita della vita dell’altro, quando due siano legate da un legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale.

Per accertare la configurabilità dello stato, i requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi: ad esempio un progetto di vita comune, l’esistenza di un conto corrente comune, la compartecipazione alle spese familiari, la prestazione di reciproca assistenza, la coabitazione. Questi “devono essere valutati non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri”.

Nel caso esaminato, quindi, gli Ermellini hanno ritenuto di accogliere il ricorso, rinviando la sentenza alla Corte d’Appello affinché si pronunci nuovamente sul caso.

 

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