La Cassazione ha fornito delle precisazioni sui danni sopravvenuti in corso di causa e a preclusioni e ammissibilità della domanda di risarcimento.

Con l’ordinanza n. 25631/2018 della Cassazione i giudici hanno fatto il punto in merito ai danni sopravvenuti in corso di causa e alle eventuali preclusioni sulla domanda di risarcimento.

La vicenda

Nel caso di specie, una Società immobiliare conveniva in giudizio dinnanzi al Tribunale di Roma la propria inquilina, una Casa di Cura. Nel farlo, ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni patiti per inadempimento contrattuale.

Ciò in quanto quest’ultima aveva rilasciato l’immobile locato tre anni dopo la scadenza del contratto. Pertanto, a causa del ritardato rilascio, l’attrice aveva perduto la possibilità di locare l’immobile a terzi, a condizioni più vantaggiose.

Il Tribunale di Roma in prime cure ha rigettato la domanda per mancata prova dell’esistenza del danno. L’immobiliare ha impugnato in appello.

In secondo grado le domande dell’Immobiliare sono state nuovamente rigettate con sentenza del 3.8.2016.

Nello specifico, la Corte Territoriale ha evidenziato che l’Immobiliare non aveva fornito idonea prova di offerte di locazione.

Questa aveva solo offerto una proposta di locazione. Inoltre, il contratto preliminare di locazione depositato in giudizio con la memoria conclusionale era inutilizzabile per 3 ragioni.

La prima era che il contratto era stato tardivamente prodotto. Ciò in quanto con la memoria conclusionale non è ammissibile la produzione di nuovi documenti.

Inoltre, la domanda risarcitoria della Immobiliare per non avere potuto dare esecuzione a quel contratto preliminare era domanda nuova rispetto a quella formulata con l’atto di citazione.

Infine, il danno derivante dalla impossibilità di stipulare nuovi contratti di locazione a causa del ritardato rilascio dei locali doveva sussistere al momento dell’introduzione del giudizio.

Invece, l’Immobiliare aveva dedotto con la memoria conclusiva di avere individuato un nuovo locatore con il quale, appunto, aveva stipulato il contratto preliminare di locazione.

La sentenza è stata impugnata in Cassazione dall’Immobiliare che lamentava l’erronea censura di inammissibilità dei documenti prodotti con la memoria conclusionale e l’erronea valutazione di domanda nuova svolta con la memoria conclusionale.

L’immobiliare sosteneva che tale documento si era formato in epoca successiva all’udienza di discussione. Esso pertanto non costituiva domanda nuova l’avere con la memoria conclusiva ridotto le pretese risarcitorie chiedendo che il danno fosse stimato in misura pari alla differenza tra il canone pagato dalla Casa di Cura e il canone di € 35mila di cui al contratto preliminare di locazione.

In merito al risarcimento dei danni sopravvenuti in corso di causa, la Cassazione non condivide quanto deciso dalla Corte d’Appello di Roma.

Ciò in quanto la stessa argomenta che “proposta una domanda di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, l’esistenza e l’ammontare del danno vada valutata con esclusivo riferimento alla data di introduzione del giudizio e che ai fini dell’accoglimento della domanda non rilevano eventuali pregiudizi sopravvenuti”.

La Corte d’Appello, dunque, ha errato a qualificare come sopravvenuta all’introduzione del giudizio la domanda di ristoro del lucro cessante che l’Immobiliare ha provato depositando il contratto preliminare unitamente alla comparsa conclusionale.

In sostanza, a essere sopravvenuta è la prova del danno e non il danno in sé. Esso è stato individuato nella perdita economica correlata all’impossibilità di locare a terzi l’immobile per il tempo in cui la Clinica continuava a detenere i locali nonostante lo spirare del contratto.

Gli Ermellini chiariscono inoltre che non è stata mutata la domanda introduttiva di risarcimento né il fatto costitutivo.
Pertanto, non sussiste un mutamento inammissibile della domanda inizialmente proposta.

Al principio di inammissibilità è lecito derogare in tre casi.

  • Laddove l’attore deduca in corso di causa l’entità della somma richiesta a titolo di risarcimento
  • Nel caso in cui l’attore deduca che il danno si sia incrementato in corso di causa. Fermo restando la natura di esso e l’identità del fatto generatore
  • Nel caso in cui l’attore deduca in corso di causa, dopo il maturare delle preclusioni, che si siano verificati danni ulteriori. Il tutto purché non venga mutato il fatto generatore della pretesa risarcitoria

Le tre ipotesi in cui è consentito chiedere il risarcimento di danni diversi per quantità o per qualità rispetto a quelli illustrati nell’atto introduttivo, sono le seguenti.  La riduzione della domanda risarcitoria, la domanda di danni incrementali e i fatti sopravvenuti.

Ne consegue per gli Ermellini che la Corte d’Appello non doveva considerare inammissibile la domanda di risarcimento proposta con la memoria conclusionale.

E ciò poiché non costituisce “domanda nuova”, ma doveva esaminare se ricorressero le tre ipotesi elencate.

Pertanto, sulla inammissibilità dei documenti prodotti con la memoria conclusionale recanti una data successiva a quella di introduzione del giudizio, la Cassazione ritiene la doglianza fondata.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare nel merito tale documentazione sulla scorta del principio che un documento venuto ad esistenza dopo il maturare delle preclusioni processuali legittima la rimessione in termini della parte che non abbia potuto produrlo precedentemente. Inoltre, il solo fatto di allegare quel documento agli atti costituisce di per sé una implicita richiesta di rimessione in termini.

Ciò che è inibito alla parte è produrre in giudizio documenti formati successivamente all’introduzione del giudizio. In particolare, se di essi era in possesso prima della chiusura dell’istruttoria.

Quindi offrire nuove prove del medesimo fatto costitutivo non costituisce inammissibile mutamento della domanda (ex multis N. 1814/2000).

In conclusione, la Corte ha cassato con rinvio indicando l’applicazione dei seguenti principi di diritto.

“Nei giudizi soggetti al rito del lavoro, costituisce implicita istanza di rimessione in termini il deposito, con le note conclusive, di documenti formati successivamente tanto alla domanda, quanto al maturare delle preclusioni istruttorie; a fronte di tale produzione, pertanto, il giudice non può dichiararla inammissibile, ma deve valutare se ricorrano i presupposti di cui all’art. 153 c.p.c., ed in caso affermativo esaminare nel merito la rilevanza probatoria dei documenti tardivamente depositati.”

E ancora:

“Nel giudizio di risarcimento del danno (tanto da inadempimento contrattuale, quanto da fatto illecito) non costituiscono domande nuove: (a) la riduzione del quantum rispetto alla originaria pretesa; (b) la deduzione dell’aggravamento del medesimo danno già dedotto con la domanda originaria. La richiesta di risarcimento dei danni sopravvenuti al maturare delle preclusioni istruttorie, anche se di qualità e quantità differenti da quelli richiesti con la domanda originaria, costituisce invece una domanda nuova, ma anche ammissibile se ricorrano i presupposti della rimessione in termini, di cui all’art. 153 c.p.c..”

 

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