Il danno da premorienza deve essere liquidato secondo il principio della proporzionalità. Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza n. 41933 del 29 dicembre 2021, n. 41933

Qualora la vittima di un danno alla salute, che sia conseguenza di un fatto illecito, sia deceduta prima della conclusione del relativo giudizio, per cause non ricollegabili alle menomazioni sofferte, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi jure successionis a titolo di danno da premorienza va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato defunto e non a quella statisticamente probabile.

Il Giudice di merito deve liquidare il danno secondo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e d’invalidità, ad un danneggiato che sia rimasto in vita fino al termine del giudizio, per poi diminuirne l’importo in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.

La vicenda trae origine dalla domanda risarcitoria per le gravi lesioni subite a causa di un sinistro stradale.

La danneggiata decedeva prima della conclusione del giudizio di primo grado, che si concludeva con il riconoscimento ai suoi eredi a titolo jure successionis del ristoro del danno non patrimoniale.

La Compagnia assicuratrice impugnava la decisione e gli eredi della vittima proponevano appello incidentale.

La corte d’Appello rigettava il gravame incidentale e accoglieva parzialmente l’appello principale della Compagnia rideterminando e riducendo l’importo liquidato dal primo Giudice.

Al riguardo la Corte argomentava che in assenza di un nesso di causalità certo fra le menomazioni sofferte dalla danneggiata e la sua morte, la liquidazione del danno doveva essere parametrata alla durata effettiva della sua vita e non alla durata statisticamente probabile.  

Conseguentemente, adottando le Tabelle milanesi, attribuivano maggiore intensità per i primi due anni e, poi, a decrescere a partire dal terzo anno.

Gli eredi della vittima propongono ricorso in Cassazione.

Gli Ermellini, preliminarmente, danno atto della correttezza della decisione d’Appello inerente il danno da premorienza, con particolare riferimento alla liquidazione svolta in punto di danno jure hereditatis nel caso in cui il danneggiato sia deceduto per cause non direttamente collegate alle menomazioni causategli dal fatto illecito.

In ipotesi di danno da premorienza, la quantificazione del risarcimento spettante agli eredi deve essere parametrata all’effettiva durata della vita del defunto, dal momento che la durata della vita, dopo il verificarsi del fatto illecito e delle sue conseguenze lesive, è ora un dato noto e non più ancorato alla mera probabilità statistica.

Peraltro, sottolineano gli Ermellini, non sarebbe ammissibile l’ipotesi di un risarcimento del danno, per il tempo successivo alla morte dello stesso danneggiato (Cass. n.12913/2020, n. 10897/2016).

Tale principio opera nel solo caso di decesso avvenuto precocemente, rispetto all’aspettativa di vita ordinaria, dato che, in caso contrario, i normali criteri di liquidazione del danno tengono già debitamente conto delle ridotte aspettative di vita del danneggiato, escludendo la necessità di ulteriori riduzioni (Cass. n. 25157/2018).

Ed ancora, la Suprema Corte evidenzia la debolezza del concetto di danno decrescente e precisa che la scelta di affidare alle Tabelle milanesi il ruolo di guida, per la liquidazione del danno non patrimoniale, era stata dettata dalla necessità di garantire l’equità della valutazione dei singoli casi concreti e l’uniformità di giudizio in tutto il territorio nazionale.

Dunque, il criterio del danno decrescente non pare garantire il rispetto del criterio dell’equità ed è censurabile la scelta di considerare il danno biologico non come una funzione costante, ma di ritenerlo maggiore in prossimità dell’evento e poi progressivamente decrescente, col passare del tempo, fino a stabilizzarsi.

Ragionare in tali termini è ingannevole sia dal punto di vista medico legale, dal momento che i postumi della malattia si definiscono permanenti, proprio perché stabili nel tempo, sia sotto il profilo logico-giuridico, poiché applica al danno biologico l’indimostrato presupposto che esso si riduca col passare del tempo, mentre tale danno si configura piuttosto come una rinuncia forzata e irreversibile ad una serie di attività, da parte del danneggiato, dovuta alla perdita di alcune abilità, che egli non potrà più recuperare.

Sotto questo profilo le Tabelle milanesi sono inique, laddove si verifica una ingiustificata disparità nella liquidazione del danno a seconda che la vittima sia, o meno, sopravvissuta almeno fiso al termine del giudizio.

Nel caso di sopravvivenza, infatti, l’importo liquidato per il risarcimento del danno, in funzione della percentuale d’invalidità e dell’età del danneggiato, sarà decisamente più alto di quello spettante al soggetto deceduto prima della fine del giudizio, anche nel caso in cui entrambi abbiano sopportato pregiudizi identici, per lo stesso arco temporale.

Ciò non è ammissibile.

Pertanto, per evitare tali iniquità, in ipotesi di danno da premorienza, qualora la vittima deceda prima della conclusione del giudizio, l’ammontare del risarcimento deve essere parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella statisticamente probabile.

Ergo, il Giudice nella liquidazione del danno da premorienza, secondo il criterio della proporzionalità deve considerare come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di condizioni, a un danneggiato che sia rimasto in vita fino al termine del giudizio, per poi diminuire l’importo in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.

La redazione giuridica

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