La dimensione temporale nel danno parentale (Trib. Padova , 9 novembre 2022, n. 1920)

Danno parentale e incidenza del concetto di dimensione temporale.

Nella decisione qui a commento, il Tribunale critica le tabelle a punti del Tribunale di Roma e di Milano, poiché non contemplano l’incidenza della dimensione temporale del danno da perdita parentale sulla consistenza dei pregiudizi patiti superstiti, ed osserva che tali pregiudizi patiti sono proporzionati al periodo di tempo per il quale il danneggiato dovrà sopportarli.

Sulla scorta di tale ragionamento viene palesata una tabella per la liquidazione del danno da perdita parentale diversa da quella milanese e da quella romana, ispirata, appunto, dalla centralità della dimensione temporale del pregiudizio.

In particolare, viene imputa alle tabelle romane di essere “francamente squilibrate in eccesso, nei loro valori di base, per quanto attiene alla liquidazione del danno – il quale in Italia già raggiunge cifre di gran lunga superiori a quelle liquidate negli altri paesi dell’Unione Europea – venendo a prevedere risarcimenti che, anche nelle ipotesi caratterizzate da una perdita del rapporto parentale limitata a pochi anni di vita, come nel caso di soggetti particolarmente anziani, partono da cifre estremamente ragguardevoli, mai comunque inferiori ad una somma che si aggira intorno ad € 250.000,00”.

Per meglio motivare le proprie ragioni, il Giudice, pone due casi differenti. Da un lato quello della “perdita di un genitore novantenne – il quale ha una speranza di vita non superiore a due anni – da parte del figlio sessantenne non convivente”, che, adottando la tabella romana, verrebbe “compensata con la previsione di un versamento base di € 245.167,50… venendosi di fatto a rimunerare con l’esorbitante valore di circa € 120.000,00 ciascuno dei due anni di rapporto parentale perduti a seguito del prematuro decesso del de cuius”. Come second caso viene posto quello della perdita patita da un figlio che abbia l’età di un anno, il cui padre deceduto non convivente abbia un’età di trent’anni, e che quindi “si vede sottrarre in maniera quasi totale la fruizione del possibile rapporto parentale con il padre, al quale risulta liquidabile “un risarcimento di € 294.201,00”, per cui, tenendo conto che la vittima primaria avrebbe avuto un’aspettativa di vita di “circa cinquant’anni” , il suddetto pregiudizio viene “compensato con una cifra sostanzialmente simile a quella sopra indicata ma pari a soli € 6.000,00 annui.

Ebbene, non pare logico che la sofferenza interiore di sconvolgimento della vita causata dalla perdita parentale, venga liquidata in maniera sostanzialmente simile.

Ciò, secondo il Giudice, “stride in maniera evidente con il senso di proporzionalità insito nella comune sensibilità odierna che il risarcimento per equivalente deve comunque mantenere”.

La ratio del danno da perdita parentale è quella di risarcire il  ”vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti”.

Eguali criticità vengono esternate anche con riferimento alle tabelle milanesi. In proposito viene osservato che, calcolando i risarcimenti liquidabili ai danneggiati dei due casi  sopra considerati (figlio sessantenne che perde il padre novantenne bambino di 1 anno che perde il padre trentenne), si ottengono dei risultati più proporzionati (€ 87.490,00 per il primo ed € 174.980,00, e cioè il doppio, per il secondo), e, tuttavia, la discrepanza tra il ristoro così attribuito per i due (soli) anni di durata del pregiudizio del primo caso (€ 43.745,00 l’uno) risulta sempre squilibrata rispetto a quanto liquidato per cinquantatré anni del secondo (€ 3.301,50 l’uno).

Ciò posto, il Giudice adotta una diversa soluzione fondata sul principio secondo il quale “una diversa determinazione dell’ammontare del risarcimento spettante in tale ipotesi deve tener conto del tipo di sofferenza psicologica patita dalla vittima in questi casi, caratterizzata da un dolore assai più intenso nel breve e poi destinato a scemare in maniera decisa nel corso degli anni”.

Seguendo questa soluzione viene attribuito maggior peso all’aspetto temporale del pregiudizio patito dal congiunto. In pratica ciò può avvenire attraverso la  “individuazione di un valore base del punto di sofferenza, diverso per singole categorie di parenti, da moltiplicare poi per gli anni di rapporto famigliare residuo sottratti al godimento del sopravvissuto, tenendo conto dell’aspettativa di vita media del soggetto, tra i due, in astratto meno longevo (cioè a dire, se muore il padre, gli anni da conteggiare in favore del figlio sarebbero quelli della aspettativa media residua di vita del genitore al momento del decesso), computati sulla base delle più recenti tavole di mortalità predisposte in proposito dall’ISTAT”.

Il valore base così calcolato (in misura corrispondente al risarcimento dovuto per un anno di danno biologico temporaneo del 20% su di una diaria giornaliera di € 135,00, da ridurre per le diverse categorie di congiunti, in modo da privilegiare quelli più prossimi) è destinato, poi, a scontare una progressiva diminuzione, del 20% una volta trascorso il primo quinquennio dal decesso del de cuius; del 25% per il periodo successivo al quindicesimo anno dalla morte e sino al trentesimo; e di un ulteriore 50% per il periodo successivo a tale ultima data.

In buona sostanza si tratta di una tabella scalare che prevede per ciascun anno di privazione del rapporto parentale, valori decrescenti e differenziati per le diverse categorie di congiunti. Traducendo questi “calcoli”, il Tribunale ha liquidato ad un danneggiato di 48 anni convivente con altri congiunti, che aveva perduto un fratello di 66 anni, con il quale non conviveva, ed aveva rapporti saltuari, un risarcimento di € 49.700,00.

Il medesimo danno,  se liquidato secondo la tabella del Tribunale di Milano (attribuendo 10 punti per i criteri di cui al punto E) sarebbe stato risarcito con € 67.215,20 (il 35% in più) e secondo quella del Tribunale di Roma (applicando una riduzione di 1/3 per la “non convivenza”) in € 78.457,52 (il 67% in più).

§§

Questa sentenza offre lo spunto per alcune considerazioni.

Al di là della soluzione di calcolo adottata dal Tribunale, ciò che fa riflettere è che i parametri  tabellari, se da un lato devono garantire l’uguaglianza di trattamento di situazioni uguali, con conseguente rispetto del principio di equità, dall’altro devono assicurare che situazioni diverse vengano trattate in modo adeguatamente differenziato e cioè proporzionato alla rispettiva consistenza.

Pacifico (e forse inevitabile) un sistema tabellare maggiormente vincolante come indicato dalla Suprema Corte, ma questa decisione del Tribunale di Padova  ha cercato di avvicinarsi a quella proporzionalità del risarcimento, rispetto all’effettiva consistenza dei pregiudizi da risarcire che rappresenta un obiettivo irrinunciabile dell’equità risarcitoria. E, in quest’ottica, la dimensione temporale discorrendosi di danno da perdita parentale, non può dirsi secondaria.

Avv. Emanuela Foligno

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