Decesso del lavoratore per infarto e condanna del datore di lavoro (Cass. civ., sez. lav, 28 ottobre 2022, n. 31959).

Decesso del lavoratore per mansioni incompatibili con la sua condizione fisica: viene condannato il datore di lavoro.

Il lavoratore è deceduto per infarto a causa delle mansioni lavorative non idonee al proprio stato di salute e i Giudici di merito riconoscono il diritto dei familiari al risarcimento.

Il datore di lavoro è stato condannato per avere ripetutamente impiegato il dipendente come netturbino-autista nonostante tali mansioni fossero incompatibili con la sua condizione fisica.  

Nello specifico, i Giudici di secondo grado sottolineano che il lavoratore è deceduto a seguito di infarto acuto del miocardio, e aggiungono che «si può imputare al datore di lavoro un comportamento colposo consistito nella perdurante adibizione del dipendente, reiterata nel giorno del decesso, a mansioni che già tre anni prima erano state certificate come incompatibili con la sua condizione fisica, in relazione ad una inabilità lavorativa stimata dalla Commissione medica in misura pari a 2/3».

La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la decisione resa dal Tribunale di Cosenza ed accoglieva la domanda proposta dai congiunti del lavoratore deceduto.

In sostanza, la decisione della Corte territoriale deriva dalla sussistenza a carico del datore di lavoro della responsabilità extracontrattuale da fatto illecito (per essere stato causa della perdita parentale) anche con riguardo all’elemento psicologico, potendosi imputare allo stesso un comportamento colposo consistito nella perdurante adibizione del dipendente, reiterata nel giorno dell’evento, a mansioni già certificate come incompatibili con la condizione fisica dello stesso.

La vicenda approda in Cassazione ove il datore di lavoro censura le valutazioni della Corte d’Appello relative alla modalità di esecuzione della prestazione lavorativa nel giorno dell’evento e la riconosciuta responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c..

Secondo gli Ermellini le censure sono infondate. La Corte di merito ha ritenuto raggiunta la prova delle circostanze di fatto relative alla modalità di esecuzione della prestazione lavorativa nel giorno dell’evento; ergo il ricorrente non si misura con la ratio decidendi sottesa alla pronunzia.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale di aver accolto la domanda degli istanti, sotto il profilo del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale loro spettante iure proprio, in relazione alla riconosciuta responsabilità da fatto illecito per essere stato causa della perdita parentale, laddove tale domanda difettava processualmente di allegazione della causa petendi e della stessa configurazione del fatto illecito ex art. 2043 c.c.

Gli Ermellini evidenziano che il giorno del decesso del lavoratore, come in quelli precedenti, il defunto era impegnato in mansioni incompatibili di talchè è pacifica la ricorrenza del danno ingiusto subito dagli istanti per la perdita parentale.

Pertanto, sussiste il diritto iure proprio al risarcimento di quel danno ed è corretto l’utilizzo fatto dai Giudici di merito delle Tabelle milanesi per il ristoro della posta risarcitoria.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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