Diritto a ricevere il consenso informato e diritto all’autodeterminazione sono voci autonome e differenti in quanto il secondo è disancorato dal danno alla salute

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. viene indicato un intervento di microdiscectomia L4-L5 svolto in regime d’urgenza che veniva eseguito presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria, cui seguiva poco dopo valutazione di recidiva di ernia discale L4-L5 mediana dx e altro intervento chirurgico con posizionamento di protesi.

Subito dopo l’intervento l’uomo manifestava lombalgia intensa ed invalidante che veniva trattata conservativamente, senza beneficio.

Su questi presupposti l’uomo lamentava diversi errori terapeutici: l’intervento eseguito non era indicato nelle linee guida e da buone pratiche clinico assistenziali, non era indicato per la sua patologia e i chirurghi avrebbero dovuto rappresentargli l’alternativa di essere sottoposto a due diversi interventi: discectomia associata ad artrodesi oppure discectomia associata a posizionamento di protesi discale; mancata acquisizione del consenso informato in ordine all’impianto del dispositivo medico Intraspine.

Esponeva l’uomo di aver depositato ricorso per ATP nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria al fine di veder accertata la sua condizione clinica attuale e la valutazione del danno subito a causa dell’errata ed ingiustificata esecuzione dell’intervento chirurgico; che la CTU espletata nel corso del procedimento di ATP accertava la corretta condotta dei sanitari  ed escludeva ogni ipotesi di responsabilità dei medesimi.

L’uomo, tuttavia, lamenta l’inesattezza e la contraddittorietà dell’elaborato peritale e conviene in giudizio i Medici e l’Azienda Ospedaliera per vedere accertata l’erroneità della condotta dei sanitari e per ottenere il conseguente risarcimento dei danni.

Preliminarmente, il Tribunale di Firenze (sez. IV, Ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., del 5 ottobre 2020, Giudice Dott. Minniti) evidenzia che la domanda è stata proposta successivamente all’entrata in vigore della c.d. Legge N. 24/2017 cd. “Gelli-Bianco” (1 aprile 2017), ma in relazione a fatti antecedenti a tale data, e che recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il nuovo riparto di responsabilità della Legge Gelli-Bianco non opera retroattivamente.

Conseguentemente, i fatti di causa, collocandosi tutti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge Gelli-Bianco (1 aprile 2017) non possono ritenersi regolati, sul piano del diritto sostanziale, dalla suddetta legge.

Pertanto, tenuto conto dell’epoca dei fatti per cui è causa (2009-2010), viene configurata la responsabilità dei Sanitari nell’alveo della responsabilità contrattuale.

E’ quindi onere dell’attore danneggiato, in tale ottica, provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare il danno lamentato, nonché fornire la prova del nesso eziologico tra l’inadempimento del medico ed il danno subito.

Il Medico, invece, deve dimostrare che non vi è stato inadempimento, che l’inadempimento non è a lui imputabile, o che l’inadempimento non ha avuto in concreto incidenza causale sulla verificazione del danno.

Ciò evidenziato, il Tribunale esamina la CTU e rileva:

– il paziente era, ed è, affetto da discopatia degenerativa; – le discectomie per ernia discale lombare presentano un rischio di recidiva: “si tratta di un evento noto, ineliminabile, che non risente delle differenti metodiche impiegate per la discectomia, ne’ se sia stata estesa o limitata all’asportazione del frammento ernario”; – meno condiviso, in assenza di apposite Linee Guida, quantomeno all’epoca dei fatti, era invece il percorso terapeutico migliore da attuarsi dinnanzi ad un’ernia recidiva sintomatica: “i risultati della seconda discectomia sono, infatti, in genere meno brillanti della prima […]; per migliorare questi risultati […], negli ultimi decenni si è assistito ad una imponente diffusione dell’uso della strumentazione (fusione/stabilizzazione) a completare la nuova discectomia”; – tuttavia, “la strumentazione che accompagna la discectomia nei casi di ernia discale recidiva non comporta un miglioramento dei risultati e va considerata, quindi, una semplice opzione da riservarsi a singoli casi complicati da evidente instabilità ove questa assume carattere primario nel determinare la sintomatologia”; – “il caso in oggetto presenta, invece, una tipica recidiva erniaria al medesimo livello operato, senza alcuna prova di instabilità”, pertanto, il chirurgo “si è attenuto al comportamento più indicato e condiviso dalla Letteratura accreditata”; – “l’uso dei distrattori da introdurre tra due processi spinosi contigui, allo scopo di ricostituire l’ampiezza dei forami di coniugazione ristretti, ha trovato largo impiego negli ultimi due decenni, eminentemente nei casi di stenosi spinale”; – solo nel 2011, dunque in epoca successiva al caso di specie, sono state pubblicate le Linee Guida della North American Spine Society, che hanno affermato che non vi fosse una “sufficiente evidenza in favore o contro l’impiego di questo device nella stenosi lombare”.

Il CTU conclude che:

“a) limitarsi alla semplice discectomia per l’ernia discale lombare recidiva rappresenta il -comportamento razionale e maggiormente accreditato dalla Comunità Scientifica Internazionale. Fatti salvi alcuni casi selezionati, accompagnare l’asportazione dell’ernia con l’impianto di barre e viti transpeduncolari non trova, infatti, supporto dalle esperienze cliniche della grandissima parte della Letteratura accreditata e risponde più a logiche “mercantili” che scientifiche;

b) l’applicazione del semplice distrattore interspinoso, eseguita per alleviare la stenosi dei forami -di coniugazione, risponde ad una logica condivisa da molti autori, pur mancando di una evidenza assoluta. In ogni caso si può affermare con assoluta certezza che il distrattore non ha dato, nel caso in oggetto, alcuna complicanza e non deve essere considerato causa degli eventi che hanno seguito”.

Specifica, inoltre, il CTU  che il dispositivo intraspinoso utilizzato risultava, all’epoca dei fatti, in commercio con marchio CEE ed era idoneo ad essere utilizzato nella chirurgica del rachide.

Ne discende la correttezza dell’operato dei sanitari priva di omissioni o errori da porsi in nesso di causalità materiale con l’evoluzione del quadro clinico del ricorrente.

A diverse conclusioni giunge, invece, il Tribunale con riguardo alle omissioni rappresentate dalla mancata acquisizione di un consenso informato all’impianto del dispositivo medico Intraspine.

Risulta, difatti, dal fascicolo dell’ATP che il consenso informato sottoscritto dal ricorrente riguardava l’intervento di microdiscectomia, ma non il posizionamento di protesi.

In proposito, osserva il Giudice, l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, senza il quale l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente.

Il Medico ha il preciso dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili.

L’acquisizione da parte del Medico del consenso informato costituisce prestazione differente da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di relativa mancata prestazione da parte del paziente.

Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona e riverbera nella consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente.

In quest’ottica il paziente-danneggiato deve dimostrare, anche tramite presunzioni, che, se debitamente informato, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, mentre una siffatta prova specifica non è necessaria ai fini dell’autonoma risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione.

In particolare, sottolinea il Giudice, la recente sentenza n. 28985/2019 della Corte di Cassazione – che viene richiamata e riassunta per sommi capi -, fornisce un’immagine chiara e precisa in tema di consenso informato nell’ambito dell’attività sanitaria.

Nel caso in esame, l’omessa informazione in relazione al posizionamento di protesi (dispositivo Intraspine) non ha cagionato un danno alla salute, ma ha tuttavia impedito al paziente di scegliere di accedere ad eventuali diverse opzioni terapeutiche meno invasive.

E’ stato leso il diritto costituzionalmente tutelato alla autodeterminazione.

In altri termini, è stata limitata “la libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente”, essendo mancato il consenso al posizionamento di protesi che è un atto particolarmente invasivo e con effetti permanenti.

Conseguentemente risulta integrato un pregiudizio risarcibile derivante dalla lesione del diritto all’ autodeterminazione del paziente.

Il relativo danno viene equitativamente valutato nell’importo di euro 5.000,00, cui sono obbligati al pagamento il Medico e la Struttura in quanto i danni da errore medico nel regime anteriore alla Legge Gelli-Bianco devono essere ripartiti tra Struttura e Sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva del Medico.

Avv. Emanuela Foligno

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