Accolto il ricorso della Fondazione contro il giudizio della Corte d’appello, secondo cui il contributo di solidarietà doveva essere commisurato ai compensi per remunerare medici e odontoiatri

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con una recente sentenza (la n. 2005 del 26-01-2017) ha chiarito qual è la corretta interpretazione dell’art. 1, comma 39, delle legge n. 243 del 2004, con riferimento specifico al concetto di “fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del servizio sanitario nazionale”. La norna dispone, infatti, che  “le società professionali mediche ed odontoiatriche, in qualunque forma costituite, e le società di capitali, operanti in regime di accreditamento col Servizio sanitario nazionale, versano, a valere in conto entrata del Fondo di previdenza a favore degli specialisti esterni dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici (ENPAM), un contributo pari al 2 per cento del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza diritto di rivalsa sul Servizio sanitario nazionale. Le medesime società indicano i nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato alle attività di produzione del fatturato, attribuendo loro la percentuale contributiva di spettanza individuale”.
La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato dall’Enpam nei confronti della decisione della Corte d’appello di Roma, che confermando la sentenza di primo grado,  aveva accolto la domanda proposta da un Istituto Medico Polispecialistico e ventiquattro società litisconsorti nei confronti della Fondazione, dichiarando che il contributo dovuto dalle parti ricorrenti ai sensi della normativa, doveva essere commisurato alla parte di fatturato delle società destinato a remunerare la prestazione di lavoro dei medici ed odontoiatri vincolati alle società da rapporti di lavoro autonomo.
La Corte d’ Appello di Roma, rimarcava come, ai fini della individuazione della base imponibile, si trattasse dell’unica interpretazione idonea a fugare ogni dubbio di costituzionalità della normativa, in quanto la lettura della norma proposta dall’ente previdenziale avrebbe comportato una ricaduta dell’imposizione contributiva anche su prestazioni rese da personale di diversa estrazione professionale rispetto a quello medico, nonché su margini di guadagno non strettamente collegati alle prestazioni sanitarie.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno accolto le argomentazioni proposte dall’Ente previdenziale osservando che  la soluzione di tale questione non può prescindere dal tenore letterale della norma che riferisce il contributo previdenziale “al fatturato annuo” della società: in generale, il fatturato è il complesso dei ricavi delle vendite o delle prestazioni di servizi nonché degli altri ricavi e proventi ordinari di un’impresa in un determinato periodo di riferimento. Diverso è il concetto di compenso o retribuzione, che invece costituisce il corrispettivo dell’attività svolta da coloro che concorrono a realizzare l’oggetto sociale e, quindi, anche il fatturato.
 
In base a tale premessa  giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondato il ricorso presentato dall’Enpam con la conseguente cassazione della sentenza ed il rinvio ad altro giudice d’appello designato in dispositivo perché riesamini la controversia alla luce del seguente principio di diritto: “Il contributo del 2% previsto dalla L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 39, dovuto dalle società di capitali, ha come base di calcolo il fatturato annuo attinente prestazioni specialistiche rese per il (e rimborsate dal) Servizio sanitario nazionale ed effettuate con l’apporto di medici o odontoiatri operanti con le società in forma di collaborazione autonoma libero-professionale con l’abbattimento forfettario di legge per costo dei materiali spese generali ex D.P.R. 23 marzo 1988, n. 119, e ex D.P.R. 23 marzo 1988, n. 120, con esclusione del fatturato attinente a prestazioni specialistiche rese senza l’apporto di medici o odontoiatri”.

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