Grave infezione alla protesi del ginocchio (Tribunale Agrigento, Sentenza n. 1423/2023 pubblicata il 24/10/2023)

Intervento di artroporesi al ginocchio sinistro cui segue grave infezione con impotenza funzionale.

Il paziente deduce che subito dopo l’intervento, insorgevano acuti dolori al ginocchio e non riuscendo a programmare una visita di controllo presso l’Ospedale ove era stato eseguito l’intervento, si rivolgeva ad altra Struttura. Permanendo uno stato di impotenza funzionale al ginocchio sinistro e in seguito ad ulteriori accertamenti, nella specie attraverso l’esame di scintigrafia globale corporea con cellule autologhe marcate, gli veniva diagnosticata una grave infezione a carico della protesi, che lo costringeva a sottoporsi ad un intervento chirurgico d’urgenza di rimozione della protesi e di impianto di spaziatore antibiotato nel novembre del 2019 e successiva installazione di una nuova protesi nel febbraio del 2020.

Afferma, in sintesi, che l’infezione alla protesi e i successivi interventi erano conseguenza (quale processo patologico di tipo iatrogeno) immediata e diretta della malpractice medica dei sanitari dell’Ospedale esecutore dell’intervento consistente nella mancata  somministrazione di una adeguata profilassi antibiotica post-operatoria in grado di prevenire il rischio di infezione alla protesi.

La Struttura convenuta sostiene, come documentalmente comprovato, che era stata posta in essere la profilassi antibiotica richiesta per la tipologia di intervento in oggetto e  la mancanza di prova del nesso di causa tra la condotta ascritta ai sanitari e l’evento dannoso subito e la sua esclusiva imputabilità al danneggiato, il quale si sottraeva alle visite di controllo pure programmate e contemporaneamente si affidava alle cure di un fisioterapista che eseguiva erroneamente, mediante artrocentesi, dei cicli di infiltrazione di cortisone al ginocchio protesizzato cagionando il pregiudizio lamentato dal paziente.

La CTU svolta ha accertato la correttezza dell’operato dei medici dell’Ospedale sia nella fase pre- operatoria che post intervento, secondo le specificazioni che seguono.

Dall’analisi della documentazione acquisita agli atti di causa è emerso che il management pre-operatorio da parte dei sanitari era stato sufficientemente completo e correttamente condotto relativamente all’attuazione di una corretta profilassi antibiotica delle possibili infezioni post-chirurgiche, anche mediante l’uso di un cemento antibiotato, atto a minimizzare l’eventuale infezione dei tessuti peri protesici, al monitoraggio clinico-laboratoristico del paziente nel post-intervento.

I Consulenti hanno rilevato l’assenza di un esame colturale e di un esame istologico sui campioni prelevati in corso di intervento chirurgico, accertamenti fondamentali ai fini della ricostruzione di un nesso causale, e da soli idonei a individuare indefettibilmente la sussistenza di un nesso di causa immediato e diretto (e quindi stabilire con certezza se la sintomatologia lamentata dall’attore fosse riconducibile ad una infezione peri-protesica o a una intolleranza ai materiali utilizzati nell’intervento chirurgico.

In mancanza di tale riscontro, deve procedersi ad una ricostruzione del nesso causale col criterio probabilistico del “più probabile che non” , sulla scorta della CTU il Tribunale osserva che l’infezione dell’artroprotesi è una complicanza post-chirurgica che si verifica con un’incidenza che va dal 2% rispettivamente negli interventi di impianto e va annoverata tra le c.d. complicanze dell’intervento e che a fronte della c.d. complicanza medica si tratta di capire se tale evento dannoso pur rilevabile in astratto nella statistica sanitaria (ma priva di rilievo sul piano giuridico), fosse un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile.

Solo a seguito di controlli specialistici effettuati presso altra e diversa struttura, a distanza di circa un mese dall’intervento (fine gennaio 2009) veniva documentata la presenza di idrarto reattivo e per questo effettuata artrocentesi, ma anche in tale occasione venivano esibiti esami ematochimici che non rilevavano criticità degne di nota. Dopo 6 mesi dall’intervento di posizionamento di artroprotesi e 5 mesi dalla procedura di artrocentesi, in corso di nuova visita ortopedica, nasceva il sospetto della complicanza infettiva tale da giustificare la prescrizione di una terapia antibiotica empirica domiciliare risultata inefficace.

Ergo, viene escluso, in adesione alle risultanze della CTU che, da un lato, i sanitari avrebbero dovuto porre in essere altri e più approfonditi controlli e/o terapie rispetto a quelle effettuate, dall’altro che l’infezione protesica fosse sussistente al momento delle dimissioni: la stessa, infatti, veniva confermata solo dopo l’esame scintigrafico eseguito a distanza di 10 mesi dall’intervento chirurgico.

Conseguentemente non è possibile affermare, in ragione del criterio del più probabile che non, che la sintomatologia lamentata fosse riconducibile ad un’infezione peri-protesica contratta in occasione dell’intervento del giorno 4/12/2008 o alla condotta dei sanitari nella gestione della fase post-operatoria.

La domanda viene rigettata.

Avv. Emanuela Foligno

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771

Leggi anche:

Paziente si lancia dalla finestra della stanza dove era ricoverata e perde la vita

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui