Gravi lesioni per caduta sul marciapiede (Cassazione civile, sez. III, 08/06/2023, n.16225).

Bambino che cade sul marciapiede riportando gravi lesioni che conducevano alla asportazione chirurgica della milza.

La vicenda processuale trae origine dalla chiamata in giudizio contro il Comune di Cava de’ Tirreni ritenuto responsabile del sinistro ai danni del minore.

In particolare, il bambino, percorrendo con la sua bicicletta il marciapiede slittava, a causa dell’umidità presente sul suolo, sbatteva con la ruota anteriore contro uno dei paletti di delimitazione e, sbalzato dal sellino, cadeva con l’addome sulla sommità acuminata di uno di tali paletti, installati in violazione dell’art. 180 reg. att. C.d.S., comma 5 riportando gravi lesioni personali.

Il Tribunale, riconduceva la fattispecie all’art. 2043 c.c., ritenendo che il minore avesse avuto la possibilità di evitare il pericolo osservando l’ordinario obbligo di prudenza e negando la presenza di alcuna insidia sul percorso dell’incidente, e rigettava la domanda attorea e, “data la delicatezza della materia”, compensava le spese di lite e di CTU.

La Corte di Appello di Salerno,  investita del gravame in via principale dai genitori del bambino,  e, in via incidentale dal Comune di Cava de’ Tirreni, rigettava l’appello principale accoglieva quello incidentale, per l’effetto, riformava la decisione di prime cure nella parte in cui disponeva la compensazione delle spese di lite, condannava i genitori del bambino al pagamento delle spese di lite del primo e del secondo grado.

Per quanto di interesse, il secondo Giudice, in punto di responsabilità, riteneva che tanto ai sensi dell’art. 2043 c.c., non essendo i paletti occulti, ma ben visibili, ed avendo il bambino di 11 anni utilizzato con la bicicletta un’area preclusa a tale mezzo, quanto ai sensi dell’art. 2051 c.c., per essere stata la condotta del minore tale da interrompere il nesso di derivazione causale, il comune di Cava de’ Tirreni non potesse considerarsi responsabile dell’incidente. Per quanto concerne la compensazione delle spese di primo grado riteneva fosse stata erroneamente giustificata adducendo la delicatezza della materia, la quale non rappresenta un concetto idoneo a configurare quelle gravi ed eccezionali ragioni che legittimano la compensazione delle spese processuali.

La decisione viene impugnata in Cassazione dai genitori del bambino che lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., art. 1227 c.c., comma 2, degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. nonché omesso esame di circostanze decisive acquisite nel processo in contraddittorio delle parti.

Oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte d’Appello ha inquadrato la fattispecie nell’ambito dell’art. 2051 c.c., condividendo, tuttavia, la conclusione del Tribunale secondo cui il minore, avendo indebitamente percorso un tratto di strada ad esclusiva pertinenza pedonale, in palese violazione della normativa riservata alle biciclette, avrebbe, con la sua condotta, eliso il nesso causale tra l’evento e la condotta esigibile dall’ente comunale.

In sostanza, secondo i ricorrenti,  la Corte d’Appello avrebbe erroneamente valutato la condotta del minore, atteso che, sebbene corresse e guidasse la sua bicicletta sul marciapiede riservato ai pedoni, non aveva tenuto una comportamento “tanto grave ed imprevedibile da poter essere definito “abnorme” e quindi, tale da interrompere il nesso di causalità tra l’evento dannoso occorsogli e il comportamento illecito della pubblica amministrazione. Ed ancora, la Corte d’Appello non avrebbe considerato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, che il fatto che il marciapiede non dovesse essere utilizzato dal minore con la bicicletta non costituiva una esimente per l’ente pubblico, non essendo astrattamente ascrivibile al novero dell’imprevedibile; né avrebbe tenuto conto dell’incidenza della condotta del Comune sul nesso causale.

Le censure vengono ritenute fondate.

La Suprema Corte, sulla violazione dell’art. 2051 c.c., rammenta l’intervento a SS.UU. del 2022, a seguito del quale non è discutibile che “la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. abbia natura oggettiva, come affermato con le decisioni nn. 2477-2483 rese pubbliche in data 1/02/2018, alla luce delle origini storiche della disposizione codicistica, dell’affermazione di fattispecie di responsabilità emancipate dal principio nessuna responsabilità senza colpa, dei criteri di accertamento del nesso causale e della esigibilità (da parte dei consociati) di un’attività di adeguamento della condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali vengano a contatto con la cosa custodita da altri”.

Di talchè l’attuale assetto sulla materia della responsabilità del custode si fonda su elementi di fatto individuati tanto in positivo – la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita (la sequenza è quella che muove dall’accertamento di un danno giuridicamente rilevante per risalire alla sussistenza di una relazione causale tra l’evento dannoso e la cosa custodita e si chiude con l’imputazione in capo al custode dell’obbligazione risarcitoria, dalla quale il custode si libera giusta il disposto dell’art. 2051 c.c., provando il caso fortuito) – quanto in negativo (l’impredicabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l’irrilevanza della prova di una sua condotta diligente).

Ragionando in tali termini, La Suprema Corte ribadisce che sia il fatto naturale (fortuito) che la condotta umana (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) “interruzione del nesso tra cosa e danno”, bensì alla luce del principio penalistico che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale (erroneamente confusa, talvolta, con la causalità naturale) senza peraltro cancellarne l’efficienza naturalistica; e ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente (sia del fortuito, sia delle condotte umane) poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si sarebbe verificato.

Il giudizio causale non è un giudizio fattuale, ma su una relazione tra fatti, utilizzato per allocare i costi del danno, e deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità”.

Facendo applicazione di questi principi, la Corte ritiene che il ricorso sia fondato, dovendosi escludere che, a carico del custode, il codice civile ponga una mera presunzione di colpa, per vincere la quale il custode stesso possa limitarsi a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire i danni derivanti dalla cosa.

In sostanza, il riferimento al rischio, al pericolo, all’incapacità del custode di prevenire il danno serve solo per giudicare se si siano concretizzati gli elementi di fatto che integrano, dal punto di vista fenomenologico, il criterio di imputazione dell’obbligazione risarcitoria, tenendo bene a mente, peraltro, che la “cosa” non ha un rilievo autonomo nella produzione del danno, ma lo assume solo perché custodita.

Per tali ragioni, le relative censure vengono accolte, limitatamente al fatto che la Corte territoriale ha omesso di attribuire rilievo, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, alla oggettiva situazione di pericolo rappresentata dalla presenza di paletti appuntiti, illegittimamente apposti sul marciapiede, in violazione del Codice della strada, come accertato in giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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