L’indennità di accompagnamento è prestazione sganciata del tutto dal concetto di “residua” capacita di lavoro dell’interessato

Con l’ordinanza n. 23048/2020 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un uomo che si era visto rigettare l’istanza volta ad ottenere il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento e/o della pensione di inabilità ex art. 12 della legge nr. 118 del 1971.

La contestazione mossa alla decisione dei Giudici del merito riguardava l’adesione acritica alle conclusioni del CTU, quanto all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del requisito sanitario per la concessione del beneficio richiesto, senza considerare che l’ausiliario non aveva richiamato le tabelle di cui al DM sanità 5.2.1992.

La Suprema Corte, nel rilevare l’infondatezza del motivo del ricorso, ha chiarito che, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, “le condizioni sanitarie per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento previste dalla legge nr. 18 del 1980, art. 1, consistono, alternativamente, nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nella incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza”.

Con riferimento al presupposto medico-legale ai fini del riconoscimento delle prestazioni assistenziali agli invalidi civili, “la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con d.m. del 5 febbraio 1992, in attuazione dell’art. 2 del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, integra la norma primaria ed è vincolante, con la conseguenza che la valutazione del giudice, che prescinda del tutto dall’esame di tale tabella, comporta un vizio di legittimità denunciabile con ricorso per cassazione”.

Tuttavia – hanno chiarito dal Palazzaccio –  il principio non è riferito all’accertamento del requisito sanitario della condizione di non autosufficienza come delineata dall’art. 1 della legge nr. 18 del 1980. La tabella di cui al D.M. Sanità 5 febbraio 1992 opera, infatti, per la determinazione di incidenza delle infermità invalidanti sulla capacità lavorativa; essa dunque non rileva ai fini del riconoscimento dell’indennità di accompagnamento che è prestazione sganciata del tutto dal concetto di “residua” capacita di lavoro dell’interessato.

La redazione giuridica

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Infortunio sul lavoro e perdita della capacita lavorativa specifica

- Annuncio pubblicitario -

2 Commenti

  1. vi chiedo un quesito, l ‘indennità di accompagnamento con la pensione di invalidità ai fini di certificazione ISEE producono reddito, con l’obbligo di compartecipazione alla quota delle rette ai Comuni già convenzionati con le strutture di assistenza. Considerando che si trattano di prestazioni assistenziali in situazione d’inabilità che provoca in sè e per se disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tuttavia ” una remunerazione dello stato di invalidità e non alla stregua di una fonte di reddito come se fosse un lavoro o un patrimonio !
    Sarei grata a questa redazione se potessero soddisfare maggiori chiarimenti e discipline che regolamentano i pagamenti in materia di esenzione di erogazione rette se non si possiede altri titoli o patrimonio personale, essendo un soggetto facente parte della popolazione dette fragili e in una condizione di disabilità grave .

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui