Per la Cassazione tanto le prescrizioni su ricetta bianca quanto quelle riferibili al SSN presuppongono l’accertamento da parte del camice bianco della sussistenza di una condiziona patologica che giustifichi la somministrazione del prodotto

Commette il reato di falso ideologico il medico che  prescrive un farmaco senza conoscere il paziente. Lo ha affermato la Suprema Corte nella sentenza n. 28847/2020 pronunciandosi sul ricorso di un camice bianco condannato in sede di merito per aver compilato due ricette “al buio” in favore ad un amico farmacista che aveva venduto degli anabolizzanti senza chiedere le necessarie prescrizioni.

Il professionista aveva eccepito che la prescrizione in questione non fosse riferibile al SSN, trattandosi di ricette cosiddette “bianche”, ossia ricette libere del medico di base; questi, pertanto, nel caso in esame, non  era qualificabile come pubblico ufficiale, bensì come esercente una professione sanitaria e le ricette in questione non potevano costituire certificati, bensì solo scritture private aventi natura autorizzativa, posto che non contenevano alcuna attestazione di fatti di cui l’atto stesso era destinato a provare la verità.

Si trattava – a suo avviso – di “ricette su carta bianca in cui si prescrive un farmaco senza dare atto di uno stato patologico, quindi prive di valenza certificativa ed a contenuto meramente autorizzatorio, con cui il medico rimuove l’ostacolo che la legge frappone fra il cittadino ed il farmacista al momento dell’acquisto di un farmaco di cui è, appunto, consentita dalla legge la vendita solo se l’utente si munisca di apposita autorizzazione”.

La Cassazione, tuttavia,  ha ritenuto di confermare l’integrazione del reato contestato, commesso da persona che svolge un servizio di pubblica utilità, chiarendo che anche la prescrizione su ricetta bianca – che il medico deve usare quando svolge attività privata, intramoenia compresa –“presuppone l’accertamento, da parte del medico, della sussistenza di una condiziona patologica che giustifichi la somministrazione del prodotto, a prescindere dall’esplicitazione, sulla ricetta, della diagnosi correlata alla prescrizione”.

Gli Ermellini hanno sottolineato come tanto la ricetta rossa quanto quella bianca siano documenti, pur nelle loro rilevanti differenze, con una valenza certificativa e possono pertanto dare luogo a falso ideologico nella misura in cui attestano “che l’assistito abbia diritto a quella specifica prestazione o a quel determinato farmaco, a prescindere, quindi, dalla peculiare modalità con cui l’accertamento medico è stato effettuato”.

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