Inidoneità dell’ATP in caso di lesione del diritto di autodeterminazione in materia sanitaria (Tribunale di Verona, Sez. III, Sentenza del 16/06/2021).

Inidoneità dell’ATP per il danno da lesione dell’autodeterminazione. Il paziente propone ricorso per ATP ex artt. 696-bis c.p.c. e 8 L.24/2017, per accertare e quantificare il danno patito a seguito della lesione del diritto all’autodeterminazione che assume di avere subito in relazione all’intervento di neurochirurgia spinale al quale è stato sottoposto presso l’U.O. di neurochirurgia dell’Ospedale.

Il ricorrente, in sintesi, deduce di non essere stato adeguatamente informato sulle conseguenze di tale tipologia di intervento.

Il Giudice, preliminarmente, evidenzia che qualora il danneggiato lamenti la sola lesione del diritto all’autodeterminazione, sussiste inidoneità dell’ATP conciliativo obbligatorio, atteso che la circostanza lamentata non richiede una valutazione di tipo tecnico-scientifico, ma una verifica in punto di fatto e l’applicazione di principi giuridici, involgendo quindi due ambiti di valutazione che competono esclusivamente al Giudice.

Difatti, in caso di lamentata violazione del diritto all’autodeterminazione, viene accertata la completezza e adeguatezza dell’informativa, scritta o orale, fornita al paziente prima dell’effettuazione dell’intervento e poi, in caso di esito positivo di tale prima verifica, bisognerà stabilire se la violazione del diritto alla autodeterminazione sia o meno risarcibile in base alla diversa rilevanza causale.

Per tali ragioni il CTU  non può fornire apporto utile  all’indagine su di essi o anche solo alla finalità conciliativa propria dell’istituto introdotto dalla legge Gelli-Bianco, risultando pacifica la inidoneità dell’ATP in tali casi.

Il Tribunale non condivide la tesi, espressa da una parte della dottrina, secondo cui il giudizio di ammissibilità e rilevanza del procedimento di ATP obbligatorio è stato effettuato ex ante dal legislatore, e quindi il Giudice sarebbe sempre tenuto a disporre la consulenza tecnica, anche quando, ad esempio, essa non fosse utile a risolvere la lite.

Privilegia, invece, una interpretazione funzionale dell’istituto di ATP che tenga conto del fatto che esso, come tutte le condizioni di procedibilità, costituisce un limite per l’accesso alla giurisdizione e che tale limite può essere ammesso solo se risulti utile in una ottica deflattiva non esponendo le parti a spese superflue.

In argomento, la Corte di Giustizia UE, già con la sentenza Alassini (18 marzo 2010, C-317/08), ha individuato precisi requisiti per le condizioni di procedibilità, diretti a salvaguardare il principio di tutela giurisdizionale effettiva (art. 47 Trattato Ue) e li ha ribaditi con la sentenza Menini (14 giugno 2017 C-75/16).

Nello specifico: i limiti all’accesso alla giustizia sono compatibili con i principii comunitari qualora soddisfino congiuntamente tutte le seguenti condizioni:

1) non conducano ad una decisione vincolante per le parti;

2) non comportino un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale;

3) sospendano la prescrizione o la decadenza dei diritti in questione;

4) non generino costi, ovvero generino costi non ingenti, per le parti, a patto però che la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre di provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone.

Ergo, in applicazione di tali principi, l’ambito di applicazione dell’ATP è da ritenersi limitato alle controversie che, in linea astratta, possono essere risolte in via conciliativa grazie al contributo tecnico e conseguentemente anche conciliativo dell’esperto.

Nel caso specifico andava instaurato il procedimento di Mediazione e il Giudice dichiara il ricorso inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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