Confermata la penale responsabilità del legale rappresentante di un’azienda accusato di inosservanza di norme in materia di sicurezza sul lavoro per l’infortunio occorso a un dipendente

Con la sentenza n. 35058/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso del legale rappresentante di un’azienda, condannato in sede di merito perché, in qualità di datore di lavoro, per colpa generica nonché per inosservanza di norme in materia di sicurezza sul lavoro, aveva cagionato a un dipendente della società, lesioni personali (“trauma torace-addominale con rottura splenica e frattura dell’omero sinistro”), dalle quali derivava una malattia superiore a quaranta giorni.

Nello specifico, all’imputato veniva originariamente contestato di aver omesso di fornire al lavoratore infortunato adeguata formazione ed informazione specifica sull’uso di un tornio Dania , in maniera tale da porlo in condizione di valutare l’inadeguatezza della stessa per eseguire le lavorazioni richieste; con la conseguenza che, mentre il lavoratore utilizzava il predetto macchinario, il pezzo cilindrico in acciaio in lavorazione si liberava dal mandrino, proiettandosi verso il lavoratore procurandogli le lesioni descritte.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 71, 73 d.lgs. 81/2008 quali profili di colpa specifica del contestato reato.

A detta dell’imputato, diversamente da quanto assunto dalla Corte territoriale, le risultanze dell’istruttoria dibattimentale avevano evidenziato che il dipendente era perfettamente formato ed in grado di usare correttamente il tornio in questione. La Corte di appello aveva omesso di valorizzare il fatto che la teste a carico della ASL aveva confermato come l’infortunato fosse un lavoratore esperto nell’utilizzo di questi macchinari. L’impugnata sentenza appariva illogica e contraddittoria anche laddove adombrava una costante prassi scorretta nell’uso delle macchine tornitrici all’interno dell’azienda: se l’utilizzo scorretto di griffe, tornio e misura dei pezzi in lavorazione fosse stato costante, infatti, vi sarebbero state più rotture che invece non si erano verificate. L’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui la persona offesa non aveva a disposizione schemi operativi o strumenti per misurare i diametri dei pezzi in lavorazione, era poi frutto di una deduzione sfornita di riscontri.

Gli Ermellini, tuttavia, non hanno ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, respingendole in quanto manifestamente infondate.

Fornire adeguata formazione ai lavoratori – hanno chiarito dal Palazzaccio – è uno degli obblighi principali gravanti sul datore di lavoro e, in generale, sui soggetti preposti alla sicurezza del lavoro. Costituisce assunto pacifico in giurisprudenza che il datore di lavoro risponda dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte. È, infatti, tramite l’adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui essi sono esposti. Ove non adempia a tale fondamentale obbligo, egli sarà chiamato a rispondere dell’infortunio occorso al lavoratore, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento. Né può venire in soccorso del datore di lavoro l’eventuale comportamento imprudente posto in essere dal lavoratore non adeguatamente formato. Il datore di lavoro che non adempia ai predetti obblighi di informazione e formazione, gravanti su di lui e sui suoi delegati, risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi. Si è poi ulteriormente specificato che l’obbligo di informazione e formazione dei dipendenti non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. Ciò in quanto l’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro.

Per la Cassazione, la Corte territoriale aveva poi illustrato, in maniera adeguata, come la carenza di formazione ed informazione del dipendente, risultata con evidenza dall’istruttoria dibattimentale, avesse rappresentato l’esclusiva ragione della verificazione dell’incidente.

Al riguardo i Giudici del merito avevano evidenziato che l’infortunato, nel corso della sua deposizione, aveva spiegato che, per i pezzi cilindrici di quella dimensione – ossia di diametro eccessivo rispetto alla compatibilità con il tornio -, egli era solito usare, “perché così gli era stato insegnato”, il tornio a controllo numerico (che è “una macchina più grossa che prende anche pezzi più grossi”), per la prima fase di lavorazione ed il torno Dania per la finitura”; e che non aveva a disposizione le cartelle con i diametri e “visto che gli era sempre stato detto di farlo lì, l’aveva sempre fatto così…”. Gli era sempre stato insegnato che “fino a che prendeva due o tre denti il tornio era sicuro”. Aveva, altresì, riferito di aver frequentato una scuola professionale ma che, uscito da quella, non sapeva neanche che cosa fosse un tornio, avendolo appreso durante la sua attività.

Il Collegio distrettuale aveva poi evidenziato che analoghe indicazioni erano state fornite dal capo officina, il quale “confermava che la procedura usuale di lavorazione di pezzi di quel tipo prevedeva, in una prima fase, l’utilizzo del tornio a controllo numerico e, per la fase dell’intestatura”, il passaggio al tornio tradizionale, ossia il tornio Dania sul quale si verificava l’infortunio o uno di più recente fabbricazione ma con identiche caratteristiche, senza che fosse ravvisata alcuna anomalia nella procedura seguita dalla persona offesa”. La scelta tra i due torni a disposizione, poi, dipendeva da quale dei due fosse libero. Dal che la sentenza impugnata congruamente desumeva che anche il capo officina dava “prova di non essere minimamente informato sui limiti di utilizzo del tornio Dania, sulla necessità di verificare preventivamente il diametro del pezzo e sull’opportunità, segnalata dal consulente della difesa, di servirsi di un set di griffe diverse in modo da adattare il mandrino alle dimensioni del pezzo da rifinire”.

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