Lesioni micropermanenti e ruolo del Medico Legale (Cass. civ., sez. III,  21 settembre 2023, n. 26985).

Ruolo del Medico Legale nelle lesioni micropermanenti non accertabili con criteri clinici e strumentali, ma eventualmente visivi.

La Suprema Corte, con la decisione a commento, cristallizza i confini del riconoscimento delle lesioni micropermanenti e della relativa risarcibilità.

Come noto,  il legislatore del 2017 ha aggiunto l’accertamento visivo agli altri tipi di accertamento già in precedenza previsti (quello clinico e quello strumentale), stabilendo che esso si riferisce alle lesioni “oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni”.

La vicenda trae origine da un sinistro stradale. Il Giudice di Pace di Bologna, in parziale accoglimento della domanda attorea: a) condannava l’assicurazione al risarcimento dei danni; b) compensava integralmente le spese del giudizio tra tutte le parti, ponendo definitivamente a carico degli attori le rispettive spese sostenute per la CTU, e di ciascuna delle parti le spese sostenute per i compensi dei rispettivi CTP.

Il Tribunale di Bologna, in accoglimento del gravame accertava la esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro per cui è causa, e per l’effetto condannava al pagamento della somma a titolo di risarcimento dei danni. Avverso tale decisione viene proposto ricorso per Cassazione.

Per quanto qui di interesse,  la parte più interessante della decisione a commento riguarda la ricostruzione del sistema di valutazione e liquidazione dei danni da micropermanenti.

  1. la prova della lesione e del postumo non deve essere data esclusivamente con un referto di accertamento clinico strumentale (radiografia, Tac, risonanza magnetica, ecc.), poiché è l’accertamento medico legale corretto, riconosciuto dalla scienza medica, a stabilire se tale lesione sussista, e quale percentuale del detto postumo sia ad essa ricollegabile;
  2. anche una lettura costituzionalmente orientata (art. 32 Cost.), impone di riconoscere che l’accertamento della sussistenza della lesione dell’integrità psico-fisica deve avvenire con criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi, ma l’esame clinico strumentale non è l’unico mezzo utilizzabile (salvo che ciò si correli alla natura della patologia), non essendo precluse fonti di prova diverse dai referti di esami strumentali, i quali non sono l’unico mezzo utilizzabile ma si pongono in una posizione di fungibilità ed alternatività rispetto all’esame obiettivo (criterio visivo) e all’esame clinico;
  3. l’accertamento medico legale non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che si traduca in una limitazione della prova della lesione. La Cassazione evidenzia il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista per fondare le conclusioni scientificamente documentate e giuridicamente ineccepibili;
  4. i criteri scientifici di accertamento e di valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (e cioè il criterio visivo, il criterio clinico ed il criterio strumentale) non sono tra di loro gerarchicamente ordinati e neppure vanno unitariamente intesi, ma vanno utilizzati dal medico legale, secondo le legis artis, nella prospettiva di una “obiettività” dell’accertamento, che riguardi sia le lesioni che i relativi eventuali postumi;
  5. ciò che impedisce il risarcimento del danno alla salute con esiti micro permanenti non è di per sé l’assenza di riscontri diagnostici strumentali, ma l’assenza di una ragionevole inferenza logica della sua esistenza stessa, che ben può essere compiuta sulla base di qualsivoglia elemento probatorio od anche indiziario, purché in quest’ultimo caso munito dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. Ecco che la Cassazione valorizza il ruolo del medico legale, imponendogli la corretta e rigorosa applicazione di tutti i criteri medico legali di valutazione e stima del danno alla persona. Pertanto, è risarcibile anche il danno i cui postumi non sono “visibili” o insuscettibili di accertamenti strumentali, sempre che la relativa sussistenza possa essere affermata sulla base di un’ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medicolegale.

Ciò ribadito, il Giudice d’appello –erroneamente- non riteneva provato il danno orale poiché veniva allegato un mero “disagio psicofisico” , ma accertato nella CTU, escludendo alla la prova presuntiva sul punto, e affermava che “che la dedotta sofferenza costituisce una “normale” conseguenza del danno, e non già un pregiudizio di “speciale entità”.

Come noto, il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che prescinde dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato ed è insuscettibile di accertamento medico-legale, sicché, ove dedotto e provato, deve formare oggetto di separata valutazione ed autonoma liquidazione rispetto al danno biologico.

Avv. Emanuela Foligno

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