Licenziamento per superamento del periodo di comporto e discriminazione indiretta del lavoratore malato oncologico (Cassazione Civile, sez. lavoro, 2 maggio 2024, n. 11731).

La Corte di Cassazione, con la importante decisione a commento, conferma che è discriminatoria l’applicazione dello stesso periodo di comporto a tutti i malati senza le dovute distinzioni.

La vicenda

La questione giuridica affrontata riguarda il principio di attenuazione dell’onere probatorio di cui all’art. 40 D.Lgs. 198/2006 che opera anche nell’ipotesi di discriminazione indiretta. Ovvero realizzata mediante licenziamento per superamento dell’ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile e vale anche in riferimento alla consapevolezza del datore di lavoro del “problema di salute” del proprio dipendente, determinando in capo al datore, una volta che sia reso edotto della condizione effettiva del dipendente, l’onere di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente derivanti “dall’handicap” noto.

Il Giudice di primo grado condannava il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegrazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo.

La Corte di Firenze (n. 760/2021) ha rigettato il reclamo del datore di lavoro contro la decisione di primo grado che decideva come nullo il licenziamento intimato al dipendente malato oncologico per superamento del periodo di comporto stabilito all’interno del CCNL applicato, in quanto ritenuto discriminatorio.

Entrambi i Giudici del lavoro avevano ritenuto sussistente la discriminazione indiretta del dipendente con disabilità in ragione del fatto che “la previsione di un periodo di comporto unico ed indifferenziato che ricomprendesse anche periodi di malattia imputabili alla medesima disabilità non fosse uno strumento appropriato per la tutela della condizione di rischio del dipendente”, ritendo altresì provato l’elemento soggettivo della società in quanto pienamente consapevole della condizione del lavoratore e del rischio di discriminazione derivante dal computo indifferenziato di tutte le assenze nel periodo di comporto.

Il giudizio di Cassazione

La Suprema Corte ritiene effettivamente sussistente la discriminazione indiretta – ossia un criterio/disposizione/prassi apparentemente neutra che mette in una posizione di particolare svantaggio i dipendenti appartenenti ad uno specifico gruppo sociale protetto. Viene menzionato un precedente (n. 9095 del 31 marzo 2023), che aveva ritenuto discriminatoria l’applicazione dello stesso periodo di comporto a tutti i malati, senza le dovute distinzioni per coloro che hanno una disabilità, in considerazione dei maggiori rischi collegati a quest’ultima condizione.

Inoltre, a norma dellart. 3, comma 3-bis D.Lgs. 216/2003 sussiste in capo ai datori di lavoro, pubblici e privati, il dovere di adottare ogni ragionevole accomodamento organizzativo “che […] sia idoneo a contemperare […] l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa”.

Riguardo alla invocata incolpevole non conoscenza del reale stato di salute del dipendente (che nel corso del rapporto aveva prodotto dei certificati medici privi di riferimenti alla sofferta patologia oncologica cronica), gli Ermellini danno continuità alla consolidata giurisprudenza in tema di onere della prova nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio e di azione ordinaria promossi dal lavoratore.

Attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del lavoratore

L’art. 40 D.Lgs. 198/2006 non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del lavoratore, prevedendo a carico del datore di lavoro l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione a condizione che il lavoratore abbia fornito al Giudice elementi di fatto, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori.

Siamo di fronte, dunque, a una parziale inversione dell’onere della provadovendo l’attore fornire elementi fattuali che devono rendere plausibile l’esistenza della discriminazione, pur lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria; sicché, il rischio della permanenza dell’incertezza grava sul convenuto, tenuto a provare l’insussistenza della discriminazione una volta che siano state dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere”. E tale parziale inversione viene estesa anche alle ipotesi di discriminazione indiretta realizzata mediante licenziamento per superamento dell’ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile.

Ragionando in tal senso, correttamente la Corte di Appello ha accertato che la quasi totalità delle assenze del lavoratore erano collegate alla patologia oncologica e alla conseguente disabilità sulla vita professionale, e dunque ritenuto provata la discriminazione indiretta.

Avv. Emanuela Foligno

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