Sul marciapiede in questione risultavano resti di pietre, asfalto e cemento distaccati dal manto e sollevati dalla sede di alcuni centimetri (Tribunale di Tivoli, Sentenza n. 826/2021 del 01/06/2021 RG n. 789/2017)

Il danneggiato cita a giudizio il Comune di Subiaco chiedendo il risarcimento dei danni subiti per l’infortunio avvenuto il 2.4.2016 cadendo a terra mentre percorreva il marciapiede a causa della presenza del manto sconnesso non visibile e non percepibile.

Si costituisce in giudizio il Comune chiedendo il rigetto della domanda e deducendo la carenza dei requisiti di imprevedibilità e inevitabilità dell’anomalia del marciapiede e del nesso causale rispetto ai danni lamentati.

La causa viene istruita attraverso acquisizione documentale, prove testimoniali e CTU Medico-Legale.

Preliminarmente il Tribunale dà atto della pacifica dinamica del sinistro, non efficacemente contestata dal Comune convenuto.

Anche i testi escussi hanno confermato che il giorno 2 aprile 2016 l’attore, mentre percorreva a piedi il marciapiede inciampava sul manto sconnesso, come rappresentato dalle fotografie prodotte in giudizio.

L’attore pone correttamente a fondamento della responsabilità invocata, l’omessa manutenzione della strada riconducibile all’art. 2051 c.c. e il Tribunale, dando atto che il tema è molto dibattuto, passa in rassegna le più significative pronunzie in materia della Suprema Corte.

In particolar modo, la Cassazione ha chiarito che ” la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’ art. 2051 c.c. prescinde dall’accertamento del carattere colpo so dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento del pericolo sito nella cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno”.

In tale ottica, il danneggiato è tenuto a dare la prova che il danno deriva dalla cosa, ma tale prova può ritenersi assolta con la dimostrazione che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta o assunta dalla cosa, in ragione di un processo in atto o una situazione determinatasi, ancorché provocati da elementi esterni, che conferiscano alla cosa quella che in giurisprudenza si è a volte indicata come «idoneità al nocumento».

La derivazione del danno dalla cosa può essere offerta dal danneggiato anche per presunzioni, giacché la prova dell’evento dannoso è di per sé indice della sussistenza di un risultato anomalo, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che avrebbe normalmente evitato il danno.

Orbene, il custode della cosa “dannosa” deve dimostrare il caso fortuito per essere liberato dalla responsabilità.

La prova liberatoria del fortuito attiene alla prova che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, e cioè con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze concrete del caso.

In sostanza, il custode, deve dimostrare di avere adottato, in relazione alle condizioni della cosa e alla sua funzione, tutte le misure idonee ad evitare il danno.

Adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno significa dimostrare di avere svolta la dovuta attività di vigilanza, controllo e manutenzione dovuta in relazione alla natura del bene.

Viceversa, qualora il pericolo venga originato da comportamenti degli utenti o da una repentina o imprevedibile alterazione dello stato della cosa, la prova del fortuito da parte del custode si sostanzierà nella dimostrazione che il danno è dovuto ad un evento non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, e di quanto il medesimo avrebbe dovuto fare ed ha fatto per evitare il danno.

In applicazione di tali principi il Tribunale ritiene la domanda fondata essendo raggiunta la prova dell’evento dannoso e della sua derivazione causale da un bene soggetto alla custodia del Comune.

Sul marciapiede in questione risultavano resti di pietre, asfalto e cemento distaccati dal manto e sollevati dalla sede di alcuni centimetri.

Il dissesto della pavimentazione costituisce una situazione di pericolo immanentemente connessa alla struttura del bene demaniale in questione, ed il Comune convenuto avrebbe dovuto dimostrare di avere svolto la vigilanza, il controllo e la manutenzione dovuti in relazione alla natura della cosa, sì che la produzione di quello specifico evento di danno doveva considerarsi imprevedibile ed inevitabile con la normale diligenza.

Nessuna prova è stata fornita in tal senso.

Ed anzi, non risulta dimostrato, né allegato, che il marciapiede fosse usualmente destinato a numerosi e frequenti attraversamenti, tali da impedire al custode di apprestare l’adeguata manutenzione, o che venisse utilizzato in maniera anomala o, ancora, che fosse stato interessato da lavori da parte di terzi.

Tuttavia non viene ritenuta che la responsabilità del Comune sia esclusiva, ma che concorra con quella dell’attore in misura del 70%.

L’anomalia del marciapiede era visibile agli utenti, per le condizioni di luminosità, mai contestate dall’attore, quindi, doveva esigersi un contributo di attenzione commisurato alla condizione di pericolo del bene.

Ciò posto, il CTU ha accertato che l’attore “ ha riportato nel sinistro in oggetto lussazione spalla dx con frattura composta del trochite omerale con periodo di inabilità temporanea totale pari a giorni 15 e una inabilità temporanea parziale al 50% pari a giorni 30 , oltre che una invalidità permanente residua pari al 4 %. Tali esiti permanenti residuati non influiscono, sull’attività specifica del periziando”.

Nella liquidazione, utilizzando le Tabelle milanesi, si addiviene alla soma di euro 3.758,00 , secondo i valori attuali, per il danno permanente, ed euro 2.970,00 per inabilità temporanea.

L’importo complessivo di euro 6.728,00 il Comune convenuto deve corrispondere all’attore la misura del 70%, ovverosia euro 4.709,60, in virtù della cooperazione colposa nella causazione del danno del danneggiato.

Seguendo la regola della soccombenza le spese di lite e di CTU vengono poste a carico del Comune.

Concludendo, Il Tribunale di Tivoli, condanna il Comune di Subiaco al pagamento in favore della parte attrice della complessiva somma di euro 4941,60; condanna il Comune alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’attore , liquidate in complessivi euro 264 ,00 per esborsi ed euro 2.040,00 per compensi, oltre il 1 5% di rimborso spese forfettarie e I.V.A. e C.P.A. come per legge, ed oltre le spese di C.T.U.

Avv. Emanuela Foligno

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