Proseguire la terapia antibiotica in luogo del Debridement con drenaggio chirurgico della ferita ha provocato un allungamento del decorso della malattia di un anno (Tribunale di Latina, Seconda Sezione Civile, Sentenza n. 1155/2021 pubbl. il 04/06/2021 RG n. 6449/2015)

Il paziente cita in giudizio l’Azienda USL di Latina per accertare e dichiarare la responsabilità civile contrattuale della convenuta. Afferma la responsabilità della ASL per il comportamento incongruo e censurabile dei suoi sanitari; in particolare lamenta l’effettuazione di un complessivo trattamento sanitario incongruo ed erroneo presso i Presidi di Fondi, Terracina e Latina, tutti facenti parte dell’A.U.S.L. di Latina, caratterizzato da diversi ricoveri ed “accettazioni” per visite ambulatoriali e medicazioni, nonché da prestazioni di pronto soccorso ove riceveva trattamenti medici e farmacologici per quasi due anni (a partire dal 30/09/2012) ed era stato sottoposto ad un intervento chirurgico effettuato – solo dopo due anni circa – nel giugno 2014 presso il P.O. di Terracina.

Il Tribunale ritiene la domanda fondata.

L’attore lamenta in sostanza che, a causa di cure inidonee a un’ulcera nella regione plantare del piede destro dopo l’accesso al Pronto Soccorso dell’ospedale di Fondi in data 30.09.2012, poi nuovamente l’ 8.10.2012, il 9.12.2012 (con ricovero) e poi il 12.05.2014 presso l’Ospedale di Terracina (ricovero con intervento chirurgico), è derivata una lunga vicenda medica che è proseguita sino almeno all’ottobre/novembre 2014.

Successivamente interviene recidiva nell’agosto 2017 e fino al 2018.

In sintesi, secondo la difesa attorea avrebbe dovuto/potuto almeno dal dicembre 2012 eseguirsi, anziché medicamenti e terapie antibiotiche, il debridment chirurgico dell’ulcera, ritardato invece sino al maggio 2014 e comunque, alla fine, non riuscito.

Il CTU sottolinea che “la vicenda è durata oltre due anni e ha coinvolto 7 diverse strutture sanitarie, si procede quindi a una suddivisione in 4 periodi al fine di meglio analizzare gli avvenimenti e i diversi stadi dell’evoluzione patologica, delle terapie praticate e dei relativi periodi di malattia lavorativa, e segnatamente: 1) dal primo accesso al PS di Fondi del 30.09.2012 al 19.12.2012; 2) dal 28.06.2013 al 13.01.2014; 3) dal 14.01.2014 al 30.05.2014; 4) dal 31.05.2014 al 24.11.2014.

“La patologia alla base del presente caso risulta essere lo sviluppo di un infezione nei tessuti molli del piede che si è progressivamente approfondita sino ad interessare i piani ossei; essa si era sviluppata verosimilmente all’esito dell’esportazione di un callo (ciò risulta anche dalla documentazione medica del giugno 2013 e, pertanto, non si è trattato di una formazione improvvisa). Quanto al primo periodo, il paziente fu inviato nella stessa giornata dal P.S di Fondi a quello di Latina, ove fu eseguita una “ecocolor doppler dell’arto e consulenza Chirurgica Vascolare. Anche in occasione di quest’ultimo accertamento non veniva riscontrata la presenza di urgenza chirurgica e il paziente, vista la normalità e quadro ecografico, veniva dimesso con diagnosi di ascesso e consiglio a continuare la terapia con antibiotici gastroprotettori e antiaggreganti. Il quadro clinico che verosimilmente presentava il periziando era quello di una ferita ulcerata del piede dx con segni di flogosi diffusa del piede (vds referti PS di Fondi e Latina del 30.09.2016) per i quali è stata prescritta terapia a base di antibiotico (Ceftriaxone) + antiaggregante (Clexane)+ gastroprotettore (Pariet) . Nello specifico la Consulenza specialistica Chirurgica Vascolare eseguita presso l’ ospedale di Latina evidenziava: “se ascesso = drenaggio chirurgico” …Quindi allo stato verosimilmente non vi era evidenza di ascessualizzazione ed il medico dava indicazione chirurgica, solo qualora si fosse formato in un secondo momento, un ascesso. Detta situazione clinica sembrerebbe permanere anche in occasione della visita al PS di Latina del 08.10.2012 quando una nuova Consulenza specialistica Chirurgica Vascolare evidenziava “ulcera trofica a fondo smanioso. No raccolte ascessuali ne tramiti fistolosi”. A fronte di una infezione che si presentava non grave, considerato che non vi erano raccolte purulente e che erano stati eseguiti gli esami ematologici e l’ecocolor doppler, è stata corretta la raccomandazione della sola terapia antibiotica e medicazioni” .

“In data 05.12.2013 il paziente veniva sottoposto a nuova visita specialistica che evidenzia un notevole miglioramento delle condizioni cliniche con la terapia eseguita e, quindi, consigliato il proseguimento della stessa per ulteriori 10 giorni. Per tale motivo il paziente si ricoverava nuovamente presso il predetto reparto dal 09.12.2013 al 20 .12.2013 per il prosieguo della cura ; gli veniva fatta la radiografia del piede e della caviglia, con dimissione con diagnosi di sospetta osteomielite del piede . La cura sembrava, dunque aver dato risultati positivi”.

“Passando al periodo dal 28.06.2013 al 13.01.2014 , …per la ripresa della malattia da alcuni giorni, il periziando viene ricoverato presso il reparto di Postacuzione dell’ ospedale di Latina ove viene sottoposto a visita specialistica infettivologica che modifica la terapia antibiotica ma evidenzia una condizione di purulenza della ferita “: trattasi di un vero e proprio ascesso; tuttavia il “quadro però non viene rilevato dalla consulenza specialistica Chirurgica Generale che evidenzia “… presenza di pregresso flemmone piede dx . attualmente non segni di infiammazione acuta in atto…non dolente… pz apiretico…utile antibioticoterapia e medicazioni” .

“E’ in questa fase che sussiste l’errore medico: in aderenza alle linee Guida, sarebbe stato opportuno un approccio chirurgico consistente in incisione e drenaggio dell’ ascesso. Obiettivamente l’ approccio chirurgico alla lesione avrebbe ridotto il tempo di guarigione e mitigato i danni permanenti residuati”. Quindi, ove si fosse fatto in questo momento, anziché continuare con medicazioni e antibiotici, ricorso alla chirurgia più probabilmente che non si sarebbe evitato il persistere della malattia ed il suo successivo peggioramento.

“Nel terzo periodo (dal 14.01.2014 al 30.05.2014) , l’attore ha una nuova ricaduta, tanto che in data 12.05.2014 si ricovera nuovamente presso il PS ed il DH chirurgico di Terracina ove per la, ormai, presenza di necrosi del 1° dito del diede dx viene, correttamente, sottoposto a debridement chirurgico della lesione. Successivamente continuava la terapia medica e chirurgica con progressivo miglioramento sino alla guarigione clinica avvenuta il 29.12.2014″.

“Nel quarto periodo è da escludersi qualsiasi responsabilità del personale sanitario“ per comportamento incongruo.

“Il fatto che il periziando abbia volontariamente ripreso l’attività lavorativa (dal 14.01.2014 al 30.05.2014), questo comportamento associato all’ assente riscontro di medicazioni in questo periodo, può far presumere una corresponsabilità dello stesso nella ripresa della malattia e del conseguente periodo di astensione lavorativa. Il predetto evento potrebbe essersi quindi verificato per molteplici evenienze, alcune delle quali anche potenzialmente correlabili ad eventi riconducibili all’operato della parte attrice. Pertanto, non essendovi una evidente conseguenzialità (neanche in termini statisticamente probabilistici) tra l’ operato omissivo dei medici e questa nuova riacutizzazione della malattia, lo scrivente non ritiene che detta nuova evenienza patologica possa esser a questi ascritta “.

Ebbene, il CTU ha ipotizzato che, ove il paziente non fosse tornato al lavoro nei periodi intermedi – considerato anche il lavoro che faceva (camionista con conseguente utilizzo del piede per guidare), non avrebbe contribuito alle ricadute dell’infezione.

Non solo, è lo stesso CTU a dichiarare: ” risulta impossibile per lo scrivente valutare se il periziando abbia correttamente o meno seguito tutte le terapie prescritte in quanto, nella documentazione in atti, risultano alcuni scontrini di farmacia ma non è possibile evincere a quali prodotti si riferiscano, recando questi solo una indicazione generica di “farmaco” ed inoltre gli stessi si riferiscono solamente ad un periodo che va dal Gennaio 2014 all’ Ottobre 2014. Anche per quanto riguarda le medicazioni vi è evidenza che le stesse siano state eseguite discontinuamente ed in particolare per circa 20 giorni a Novembre 2012, poi da Luglio 2013 a Novembre 2013 e quindi a Maggio e Giugno 2014 “.

“La ripresa dell’ attività lavorativa, con l’ ovvio sovraccarico meccanico e settico per la parte malata (anche in considerazione del lavoro specifico svolto – autista di mezzi pesanti), può esser stato causa delle riesacerbazioni della malattia”.

Il Tribunale, però, osserva che il rientro al lavoro era un comportamento obbligato, e non una scelta .

Inoltre, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, va distinta da quella riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire al la sua causazione.

Ergo, tornando al lavoro o non seguendo alla perfezione le indicazioni mediche, l’attore ha aggravato le conseguenze della sua malattia.

Pertanto viene ravvisata la responsabilità dei sanitari dell’Ospedale di Latina (e quindi della ASL Latina di riferimento) che non sono intervenuti correttamente nel giugno 2013, provocando con la loro omissione di intervento chirurgico a tale momento in modo più probabile che non un prolungamento della malattia.

Difatti il CTU ha specificato :”Il trattamento scelto fu quello di proseguire con la terapia antibiotica in luogo del Debridement con drenaggio chirurgico della ferita. Tale comportamento ha provocato un allungamento del decorso della malattia di un anno, sino a quando l’intervento è stato eseguito presso l’Ospedale di Terracina : Per il periodo che va dal 28.06.2013 al 13.01.2014, non avendo proceduto i sanitari al debridement chirurgico ed essendovi prova della corretta astensione dal lavoro e della costante applicazione alle terapie prescritte è verosimile ascrivere al mancato atto chirurgico la prolungata durata di tale periodo di prognosi ( 200 giorni). Detto periodo così protratto si discosta significativamente da analoghi casi, trattati in maniera alternativa a quella effettuata “.

Ciò posto, venendo alla quantificazione dei danni e considerati i 200 giorni di inabilità accertati dal CTU con 90 giorni di inabilità assoluta , 60 giorni di inabilità al 50% e 50 giorni di inabilità al 25% , con danno biologico permanente del 2-3%, con l’applicazione delle Tabelle milanesi si addiviene all’importo di euro 7.071,00, oltre euro 13.117,50 a titolo di danno per invalidità temporanea.

In conclusione, il Tribunale di Latina, condanna l’Azienda ASL di Latina a versare in favore dell’attore a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali euro 20.188,50, oltre rivalutazione ; a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali euro 326,54 , oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT, nonché euro 6.800,00, oltre rivaluta zio ne secondo gli indici ISTAT; condanna Azienda ASL di Latina , in persona del suo legale rappresentante pro tempore , a rimborsare le spese di lite, che si liquidano in euro 850,00 per spese ed euro 5.80 3,2 per compensi , oltre spese generali e accessori di legge, nonché rimborso delle spese di CTU .

Avv. Emanuela Foligno

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