Rese note le motivazioni della sentenza emessa ad aprile nei confronti di un medico psichiatra condannato, tra l’altro, per violenza sessuale, truffa e corruzione

“Ha prostituito la professione medica alle più basse finalità proprie”. Lo scrive il gup del Tribunale di Aosta nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 12 aprile nei confronti di un medico psichiatra aostano. Il professionista era finito a processo per i reati di violenza sessuale, cessione di sostanze stupefacenti, truffa, peculato, corruzione, falso. Era stato condannato a 10 anni e 8 mesi di reclusione.

Per il Giudice il camice bianco “è riuscito a fare tutto ciò che un medico non deve – in nessun caso – fare”. Una condotta che va dalla richiesta di danaro per visite eseguite quale medico dell’Usl fino all’emissione di certificati medici falsi, sempre in cambio di danaro. Il tutto per far conseguire finalità illegittime ai propri assistiti.

A non bastare il medico avrebbe messo le mani addosso alle proprie pazienti psichiatriche e avrebbe prescritto loro sostanze stupefacenti “a volontà e senza controllo”. Inoltre avrebbe fornito loro, quando lo riteneva opportuno, farmaci di proprietà dell’ospedale.

Tali condotte si sarebbero protratte per anni, costituendo – scrive il Gup – “il normale modo di interpretare la professione” da parte dello psichiatra.

Questi, per giustificarsi, avrebbe “trasformato le proprie anziane pazienti psichiatriche in una sorta di ninfomani assetate di sesso, pronte a false denunce se non soddisfatte”.

Alla luce di tali considerazioni – sottolinea il magistrato – “è certamente difficile formulare un giudizio che non sia pessimo in ordine alla personalità del reo”.

Con specifico riferimento alle accuse di violenza sessuale la prova principale era rappresentata dalle immagini girate con telecamere nascoste nei locali dove il medico operava. La sentenza osserva “che le riprese valgono a conferma dell’esistenza del contatto fisico” tra il medico e la paziente.

Il reato, tuttavia, va considerato integrato solo per gli episodi sostenuti da “specifiche, precise ed attendibili dichiarazioni” delle persone offese. Per altri episodi  “in mancanza di prova in ordine al dissenso delle donne rispetto agli atti a connotazione sessuale compiuti dal medico” il giudice lo ha invece scagionato.

 

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