Nel 2013 un ex magistrato è morto tramite suicidio assistito in Svizzera, credendosi affetto da malattia terminale, ma non era vero. Ecco cosa è accaduto

Ha dell’incredibile la vicenda di P.D., ex magistrato morto tramite suicidio assistito in Svizzera nel 2013. All’uomo, infatti, fu diagnostica una malattia terminale inesistente.

Ora la Procura di Pesaro sta per chiudere un’inchiesta per concorso in omicidio colposo a carico di due medici. Si tratta di A. L. di Fano e della dottoressa E.P. di Pavia.

I due sanitari, nella primavera del 2013, attestarono qualcosa che la procura ritiene fuorviante.

I medici dell’uomo, poi morto tramite suicidio assistito, scrissero del loro paziente che era affetto da patologia terminale e sottoposto a terapia specifica.

Ebbene, una volta in possesso di questi referto, l’uomo decise di suicidarsi in Svizzera, a Basilea. Senza quei documenti, non avrebbe potuto mai ottenere l’autorizzazione al suicidio. Sono queste le ragioni per cui la procura ritiene che i due medici possano aver avuto un ruolo decisivo nel suicidio dell’ex magistrato.

L’uomo, morto tramite suicidio assistito, era da tempo depresso e ipoconcriaco.

Tuttavia, non era affetto da un male incurabile, come certificato.

La famiglia scoprì della morte dell’uomo da una telefonata ricevuta nel pomeriggio dell’11 aprile 2013 da parte della dottoressa che aveva dato ‘assistenza’.

Poche parole, lapidarie, con le quali si comunicava che l’ex magistrato si era tolto la vita e che i suoi effetti personali sarebbero stati inviati alla famiglia.

Immediatamente la famiglia ha bloccato la programmata cremazione chiedendo l’autopsia, autorizzazione ottenuta dai magistrati elevetici proprio per accertare che l’uomo fosse malato terminale.

Condizione obbligatoria per quel tipo di suicidio praticato in Svizzera.

Il responso è stato terribile: l’uomo, a parte il diabete, era perfettamente sano.

Accertato questo, la famiglia, attraverso l’avvocato Michele Roccisano e un legale svizzero ha presentato nel 2013 un esposto alla procura di Pesaro e un altro in Svizzera contro i medici.

Il fascicolo d’indagine, affidato al pm Fabrizio Narbone, ora sta per giungere al capolinea con l’avviso di conclusione indagini.

Quanto ai due sanitari, il dottor L. nega di aver scritto certificazioni false.

E ricorda: “Tra il 2011 e il 2013 cominciò a dirmi di essere afflitto da gravi malattie ma io l’ho sempre tranquillizzato, scrivendo anche nell’ultimo certificato che aveva un’invalidità in stato avanzato e questo gli procurava dolori estesi”.

“Lo scrissi – prosegue il medico – perché mi aveva spiegato che voleva andare in pensione dalla magistratura prima del tempo ed aveva bisogno di una documentazione di questo tipo. Mi aveva anche detto un paio di volte di voler andare in un centro vicino a Basilea dove avvenivano dei suicidi assistiti ma fu un argomento subito archiviato”.

 

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