Siamo sempre più ossessionati dal cibo. Una vera e propria patologia che inizia con il controllo del peso e può anche sfociare nella morte

Tre milioni di italiani sono ossessionati dal cibo, affetti cioè da disturbi alimentari gravi come anoressia, bulimia e obesità.
Ad essere ossessionati dal cibo sono soprattutto i giovanissimi. Secondo gli ultimi dati a disposizione, 2,3 milioni di ragazzi, anche di 8-9 anni, soffrono di disturbi del comportamento alimentare.
“L’aumento è particolarmente evidente in età infantile e prepuberale, e questo sembra riguardare sia i maschi che le femmine, seppur sempre con un interessamento preponderante del sesso femminile”, ma non è un problema solo femminile, spiega ai microfoni dell’Adnkrons salute Marta Scoppetta psichiatra e psicoterapeuta junghiana consulente del Percorso obesità alla Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, autrice di “Perché mia figlia non magia più? Comprendere e curare l’anoressia in adolescenza”.
I ragazzi sono ossessionati dal cibo perché vivono un disagio e il disturbo alimentare diventa il mezzo con cui comunicare la sofferenza. “L’atteggiamento di questi ragazzi non è un capriccio, ma una richiesta d’aiuto”.
Un’auto-cura che può però rivelarsi fatale. “L‘anoressia è la prima causa di morte per gli adolescenti – continua la dottoressa Scoppetta – dopo gli incidenti stradali.

L’intervento tempestivo è quindi fondamentale per curare i disturbi alimentari, evitando gravi conseguenze.

Oggi si può contare nella “maggiore capacità di fare diagnosi corrette” e nella maggiore capacità dei genitori di cogliere i segnali chiave dei giovanissimi ossessionati dal cibo. “Al di là del vomito ‘di nascosto’, del dimagrimento o dell’ingrassamento improvviso, se si notano cambiamenti importanti nel carattere e nello stile di vita è bene fare attenzione”.
“Molti pensano ancora che ammalarsi di anoressia sia la conseguenza di un capriccio e che guarire sia una questione di volontà.  – conclude Scoppetta -.  “Non hanno chiaro che invece è un disturbo psichiatrico grave, che si può curare se si lavora bene” con un approccio interdisciplinare che coinvolge non solo il soggetto ma anche i familiari più stretti.
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