Intervento di osteosintesi al femore sinistro (Tribunale Lecce, Sentenza n. 1396/2023 pubblicata il 10/05/2023).

Osteosintesi al femore sinistro e arresto cardiorespiratorio con decesso del paziente.

Gli attori espongono che la propria madre veniva sottoposta a intervento chirurgico di osteosintesi al femore sinistro presso l’Ospedale di Gallipoli, e che improvvisamente si verificava arresto cardiorespiratorio che determinava il trasferimento presso altra Struttura, e successivamente presso la lungodegenza dell’Ospedale di Nardò, dove si verificava il decesso

La vicenda trae origine da una caduta accidentale cui seguiva “frattura spiroide e scomposta del terzo diafisario prossimale (sotto-trocanteica) del femore sinistro; aorto-sclerosi, cardiomegalia, BPCO, strie disventilatorie in sede bi-basale.”

La paziente veniva sottoposta a trazione transcheletrica dell’arto inferiore sinistro e fu somministrata eparina a basso p.m. per profilassi anti-tromboembolica (Ivor 3500 – bemiparina sodica). Fu quindi programmato intervento chirurgico d’urgenza di osteosintesi femore Sx., eseguito il giorno seguente.

All’uscita dal blocco operatorio l’Anestesista prescriveva fluidoterapia di 1500 ml. per le 24 ore successive, emocromo urgente all’arrivo in reparto, elastomero con miscela antalgica contenente morfina 10 mg., ketorolac 60 mg, ondasentron e ranitidina.

Il giorno successivo all’intervento veniva effettuata consulenza rianimatoria “paziente in stato soporoso, ipotesa, sudata e tachicardica. Apertura spontanea degli occhi, non esegue ordini semplici. Si pone ventimask al 50% di O2, Hb 6.9 —”.

Seguivano emotrasfusioni e TAC al cranio; quadro di severa ipossiemia con acidosi mista e somministrazione di ossigeno in alta concentrazione. Venivano eseguite ulteriori TAC (torace e cranio) nel corso delle quali la paziente andava in arresto cardiocircolatorio e veniva intubata.

Seguiva trasferimento presso seconda Struttura dove veniva ricoverata in reparto di rianimazione con diagnosi di “encefalopatia post-anossica con epilessia da ACR in paz. operata …”.

Veniva eseguita RMN encefalo con esiti di “estesa sofferenza emisferica cerebellare e cerebrale cortico-sottocorticale a patogenesi ipossica, esiti di aree micro-macroemorragiche su base ipertensiva” e tracheostomia percutanea.

La paziente veniva trasferita presso la terza Struttura di lungodegenza dove, dopo alcuni giorni, decedeva.

Il Giudice dispone CTU Medico-legale.

Il Consulente accerta come esente da censure la gestione pre-operatoria e il tipo di intervento eseguito che consentiva un adeguato trattamento della frattura sottotrocantiera del femore.

Per quanto concerne, invece, le perdite ematiche registrate: “Nel caso di specie il trattamento in corso con cardio-aspirina a dosaggio anti-aggregante può avere avuto un ruolo di aggravamento delle perdite ematiche. Dai dati in nostro possesso si apprende che in corso di intervento tale quota di sangue “visibile” fu stimata pari a 600 ml. – che di per sé non è affatto trascurabile, e nulla sappiamo di ulteriori perdite “visibili” nell’immediato post-operatorio. La lettura degli emocromi effettuati con particolare riferimento all’ emoglobina ed all’ematocrito ci consente di rilevare che: 1- Alle ore 11.22 del 14.07: HB 12.5 ed Ht 38.9 (valori preoperatori – nulla sappiamo circa valori prima della frattura) 2- alle ore 16.21 del 15.07: Hb 9.0 Ht 26.8.(valori immediatamente post-operatori – perdita di tre punti di Hb, corrispondenti a circa tre unità di sangue) 3- alle ore 00.35 la paziente che si presentava soporosa, ipotesa, sudata e tachicardica; all’apertura spontanea degli occhi non seguono ordini semplici; 4- alle ore 01.07 del 16.07: Hb 6.9 emat 20.7 (ulteriore perdita di sangue in fase post-operatoria, dalle 16.30 circa sino all’ 1.00 circa, cioè in un periodo di circa 8,5 ore nel corso del quale non vi è stato ulteriore controllo dell’emocromo). A questo punto i valori di riferimento appaiono ridotti di circa il 45% rispetto a quelli pre-intervento.”

Riguardo l’insufficienza respiratoria post operatoria “I dati emogasanalitici post-operatori orientano per l’instaurarsi di una severa insufficienza respiratoria con ipossiemia ed ipercapnia: in sintesi un quadro di acidosi respiratoria scompensata con evoluzione verso una severa acidosi mista o sin dall’inizio severa acidosi mista. In assenza di altri dati clinici e di laboratorio non è possibile precisare meglio il quadro emogasanalitico che, comunque, sin dall’inizio si è presentato di gravità tale da richiedere l’adozione di specifiche misure terapeutiche che, per quanto si apprende dalla lettura della cartella, non ci sono state. Si può infatti ragionevolmente sostenere che le condizioni cliniche della paziente avrebbero richiesto l’intubazione tracheale e la ventilazione meccanica in tempi più precoci rispetto a quanto poi avvenuto. Un trattamento strumentale più tempestivo avrebbe potuto evitare (più probabile che non) l’insorgenza dell’arresto  cardio-respiratorio quando la paziente era stata portata in sala TAC per eseguire una TAC cranio-torace, e quindi la conseguente encefalopatia post-anossica che può essere considerata la causa della successiva inarrestabile evoluzione clinica verso l’exitus. Il rapido deteriorarsi delle condizioni cliniche aveva infatti indotto i medici ad eseguire una TC cranio-torace al fine di escludere insulti ischemici cerebrali e/o fenomeni trombo-embolici polmonari. Il sospetto di possibili fenomeni trombo-embolici, in particolare a carico dell’arteria polmonare, era giustificato dal riscontro di elevati valori di d-dimeri – 3904 ng/ml (VN < 250) – e dal riscontro ecocardiografico di dilatazione delle sezioni destre del cuore. Pertanto, è condivisibile la decisione dei medici di procedere a tale esame che tuttavia, per ripetuti blackout elettrici e conseguente avaria della strumentazione, non potette essere eseguito presso l’Ospedale di Gallipoli. Le indagini successive all’arresto cardiaco effettuate presso l’Ospedale di Casarano consentirono comunque di escludere l’evenienza della tromboembolia polmonare.”

La sig.ra, in ragione dell’età e delle patologie in atto (ipertensione arteriosa, in trattamento con anti-aritmico era da considerarsi soggetto esposto al rischio di severe complicanze post-operatorie quali scompenso cardiaco, eventi trombo-embolici a carico soprattutto di encefalo e distretto cardio-respiratorio, infezioni respiratorie, sepsi del tratto          urinario, delirio post-operatorio, etc, che sono le possibili cause di morte dopo frattura di femore. Un trattamento idoneo e tempestivo dell’anemia acuta post-operatoria e della insufficienza respiratoria post-operatoria avrebbe potuto dare alla Sig.ra maggiori chances di sopravvivenza a breve-medio periodo. “                                                   

Sulla scorta delle conclusioni dei CTU e dell’analisi della giurisprudenza maggioritaria, il Giudice ritiene che nel caso di specie il danno patito è quello di una chance di sopravvivenza e non quello da morte del paziente.

L’errore dei Medici, infatti, ha ridotto le chance di sopravvivenza della paziente, la quale sarebbe comunque potuta morire, in conseguenza della frattura del femore, della comorbilità e dell’età, anche se tale errore medico non vi fosse stato.

Non è corretta la tesi di parte attrice, secondo cui la paziente sarebbe stata in salute al momento dell’accesso in Ospedale. La frattura stessa del femore, come ben chiarito dai Consulenti, è un evento altamente rischioso per la vita dell’anziano, aggravato dalle altre patologie da cui era affetto.

Tuttavia, la domanda incardinata dagli attori è di risarcimento del danno per la morte del congiunto. Ergo, la domanda, nei termini in cui è stata formulata, non viene accolta, in quanto la richiesta di danno da perdita del rapporto parentale è ontologicamente diversa da quella da perdita della chance di un rapporto parentale nel breve-medio periodo.

La domanda viene respinta.

OSSERVAZIONI

La decisione a commento si presenta impeccabile.

Significativa e interessante la disamina delle poste risarcitorie avanzate dagli attori. Avendo essi richiesto nel merito il risarcimento del danno da perdita parentale, senza richiedere in via subordinata il ristoro del danno da perdita di chance, a parere di chi scrive, oltre ad avere commesso un serio errore di diritto, non hanno, oltremodo, dimostrato di avere contezza degli approdi giurisprudenziali sul danno derivante da malpractice sanitaria.

Quando si discorre di perdita di chance in responsabilità sanitaria, la chance non è una mera aspettativa di fatto, bensì la concreta ed effettiva possibilità di conseguire un determinato risultato, o un certo bene, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita configura un danno concreto ed attuale.

Conseguentemente, la domanda risarcitoria del danno per la perdita di chance è, per l’oggetto, ontologicamente diversa dalla pretesa di risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato, il quale si sostanzia nell’impossibilità di realizzarlo, caratterizzata da incertezza (non causale, ma eventistica).

Trattandosi, dunque di poste risarcitorie ontologicamente differenti, danno da perdita parentale e danno da perdita di chance, riconoscendo quest’ultimo (non richiesto dagli attori) il Giudice sarebbe incorso in “ultra petita”.

Il principio di corrispondenza tra richiesto e pronunciato è difatti, e pacificamente, corollario del più generale principio dispositivo.

Avv. Emanuela Foligno

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