Trasporto di persone disabili e diligenza correlata (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2023, n. 7922).

Responsabili la ASL e la Cooperativa di trasporto di persone disabili per la caduta del passeggero.

Il passeggero disabile cade dal pulman e chiede che venga accertata la responsabilità sia della ASL che del trasportatore per profili di mancata diligenza. La tutrice della danneggiata, soggetto interdetto per cerebropatia neonatale con disabilità al 100%, chiede il ristoro dei danni quantificati nell’importo di euro 15.628,00 derivanti dalla caduta dal pulman durante la discesa dal mezzo, per asserita culpa in vigilando.

Il Tribunale di Rimini, riconosceva la responsabilità ex art. 2043 c.c. della Cooperativa addetta al trasporto, per non avere adottato le necessarie cautele, richieste dalle circostanze del caso, per salvaguardare l’incolumità della passeggera, tenuto conto delle sue condizioni fisiche e psichiche, condannandola al pagamento di Euro 7.120,49, escludeva, invece, la responsabilità della ASL non ravvisando a suo carico né una culpa in eligendo, né una sua ingerenza nell’esecuzione del contratto di appalto di trasporto.

La Corte d’Appello di Bologna, invece, ha rigettato la domanda della danneggiata condannandola a restituire quanto ricevuto in esecuzione della sentenza del Tribunale ed al pagamento delle spese di lite relative al giudizio di primo grado sopportate dalla società Cooperativa ed al pagamento delle spese di lite affrontate nel giudizio di appello dalla società cooperativa e dalla ASL. Tale decisione viene impugnata dalla parte soccombente in Cassazione.

Secondo la ricorrente, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della grave invalidità della danneggiata, dei suoi disturbi sul versante comportamentale relazionale, della cerebropatia neonatale, dell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita, del fatto che beneficiasse dell’indennità di accompagnamento, nonché dalla CTU medico-legale e della perizia di parte. In particolare dalle relazioni peritali sarebbe emersa una condizione di obesità limitante l’autonomia dei movimenti, peraltro già compromessa dalle altre patologie.

Sempre secondo la ricorrente, la decisione di appello sarebbe contraddittoria perché, dopo avere premesso che la danneggiata era invalida al 100% e affetta da oligofrenia, la Corte l’ha ritenuta completamente autonoma dal punto di vista fisico e nell’espletamento delle attività di base e, quindi, non necessitante di assistenza per salire e per scendere dal mezzo di trasporto dei disabili.

La Suprema Corte, preliminarmente evidenzia che le motivazioni della sentenza di appello sono errate ed illogiche, laddove è stata negata la responsabilità della cooperativa incaricata del servizio di trasporto.

La illogicità della decisione emerge dal fatto che la Corte, pur avendo preso atto della condizione di salute e di vulnerabilità della danneggiata, ne ha escluso il rilievo perché ha dato peso alla capacità della stessa di muoversi con una certa autonomia, nonché al fatto che né il Comune che aveva affidato il servizio alla cooperativa, né la sorella tutrice avessero richiesto una particolare assistenza durante il tragitto e/o nelle più delicate fasi di salita e di discesa dal pullmino.

Ebbene, il servizio di trasporto affidato alla cooperativa riguardava il trasporto dei disabili, le quali erano ad essa affidate, allo scopo di essere accompagnate dalla loro abitazione al luogo ove svolgevano terapia occupazionale e viceversa.

Tale servizio, proprio perché riservato ad una particolare tipologia di utenti, privi, per essere fisicamente impediti, psichicamente disturbati o comunque in una condizione di difficoltà e vulnerabilità, della capacità di assumere ed attuare pienamente le proprie opzioni e scelte di carattere domestico ed esistenziali, imponeva al trasportatore l’adozione di modalità di gestione del servizio che comprendessero tutte le idonee cautele, in concreto, necessarie ed esigibili da un operatore diligente, prudente (cioè che adottasse le misure precauzionali richieste dalla fattispecie concreta) e perito.

Oltre a ciò, i Giudici di appello dovevano adeguatamente considerare che la danneggiata era interdetta, quindi affetta da una infermità mentale avente i caratteri di cui all’art. 414 c.c.. L’interdizione, come noto, rappresenta una estrema ratio laddove non vi siano i presupposti per applicare misure meno limitanti della capacità di agire. La condizione giuridica dell’interdetto, ricordano gli Ermellini, è modellata su quella del minore, sebbene la minore età e la malattia mentale non siano situazioni equiparabili dal punto di vista naturalistico; ciò è sufficiente per ritenere la danneggiata meritevole di particolare cautela ed attenzione.

In sintesi, dirimente, nella vicenda qui in esame, è la circostanza che il servizio svolto dalla Cooperativa fosse non quello di semplice trasporto di persone, bensì quello di trasporto di persone disabili; vuol dire che era stato predisposto un servizio di trasporto proprio per far fronte alle esigenze di superamento delle barriere architettoniche, da intendersi come qualunque impedimento per la vita sociale e personale, di persone con disabilità (cfr. art. 26 della L. 5/02/1992, n. 404, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap).

Ebbene, la danneggiata versava in condizioni di vulnerabilità accertate e note alla cooperativa in capo alla quale vi è un dovere di sorveglianza, da intendersi alla stregua di un munus e di una funzione liberamente accettati e come tali riconoscibili all’esterno, di talchè l’affidamento del soggetto vulnerabile implica il dovere di custodia e di vigilanza.
La decisione viene cassata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in differente composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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