Osteosintesi provoca la seconda frattura del femore (Tribunale Vallo della Lucania, Sentenza n. 669/2022 pubbl. il 26/9/2022).

Osteosintesi con introduzione di chiodo endomidollare provoca la seconda frattura del femore del paziente.

Il paziente cita a giudizio l’ASL di Salerno per vederne accertata la responsabilità sanitaria del danno subito a seguito dell’intervento chirurgico del 27.10.2005.

Secondo le prospettazioni dell’attore, l’intervento di osteosintesi effettuato mediante introduzione di un chiodo endomidollare causava una serie di conseguenze negative postume ed eziologicamente collegate all’intervento non correttamente effettuato i quanto i sanitari, per imperizia incorrevano in una grave violazione della procedura chirurgica introducendo il chiodo endomidollare in modalità tali da provocare una seconda frattura del femore.

In particolare, il paziente deduce che dopo l’intervento iniziava un iter tra l’ospedale convenuto e quello di Bologna a causa dei forti dolori alla gamba e alle difficoltà di deambulazione per poi arrivare alla diagnosi di “postumi frattura arti inferiori viziosa consolidazione”.

Deduce inoltre che, a seguito del danno, i suddetti sanitari non riportavano l’esame radiografico, dal qual si evinceva una evidente frattura, all’interno della cartella clinica; tale mancanza, secondo la prospettazione di parte attrice aveva determinato il mantenimento del chiodo endomidollare nel sito, circostanza che a sua volta causava l’evoluzione verso la pseudoartrosi, condizione che rendeva pertanto necessario un nuovo intervento chirurgico e causava altre complicanze.

Il Tribunale emetteva sentenza non definitiva n. 488/2012, in accoglimento della domanda dell’attore, avverso la quale entrambe le parti, all’udienza del 24.10.2012, si riservavano l’appello ex art. 340 c.p.c. Nella suddetta sentenza il Giudice accertava la responsabilità della Azienda Sanitaria Locale condannandola al pagamento della somma complessiva di euro 54.371,80, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e della somma di euro 2.228,69 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, e rimandava alla sentenza definitiva per la pronuncia sulle spese di lite.

Rimessa la causa sul ruolo veniva nominato un secondo perito quale CTU, il quale depositava l’elaborato in data 17.07.2013 e successive integrazioni nel mese di novembre 2014.

Dopo la sentenza parziale, il Tribunale ha rimesso sul ruolo il procedimento al fine di verificare se la documentazione sopravvenuta e depositata dalla difesa di parte attrice all’udienza di precisazione delle conclusioni, fosse etiologicamente connessa al primo intervento e se avesse determinato un aggravamento del quadro patologico ai danni dell’attore.

La seconda CTU suppletiva è stata, pertanto, svolta al preciso scopo di valutare se il secondo intervento subito dall’attore sia un’ulteriore conseguenza dell’errore sanitario già accertato e inerente l’introduzione di chiodo endomidollare.

Ebbene, il CTU nominato in sede di rimessione della causa sul ruolo chiariva che i postumi residuati erano pressochè sovrapponibili a quelli rilevati dal precedente C.T.U. e fermi sull’11% di danno permanente iatrogeno.

L’intervento chirurgico del 21.07.2011 (il secondo) fu determinato dalla presenza di ossificazione eterotopica del gran trocantere sinistro e da condropatia di II e III grado della femoro-rotulea omolaterale con iperpressione rotulea mediale, evidenti esiti del danno iatrogeno. Ma siffatta situazione anatomica, con i conseguenti deficit funzionali, era già stata rilevata dal primo CTU il quale aveva globalmente valutato tutti i postumi permanenti eccedenti rispetto quelli che avrebbero potuto residuare ad una frattura di femore trattata in maniera corretta.”

Il CTU ha ben chiarito che in predetto intervento del 21.07.2011 non rappresentasse un percorso terapeutico volto ad eliminare, ovvero attenuare, sopravvenuti nuovi postumi permanenti anatomo-funzionali a carico del femore e del ginocchio sinistro.

Ergo, pur riconoscendo che l’ulteriore intervento chirurgico a cui si sottopose il paziente è la conseguenza dell’errore sanitario commesso nel corso della osteosintesi del 2005, accertato con la sentenza parziale, non vi è stato nessun aggravamento, in quanto già il primo CTU aveva globalmente valutato tutti i postumi permanenti consecutivi al danno iatrogeno.

In sostanza, il secondo intervento chirurgico a cui veniva sottoposto il paziente, al fine di ottenere un miglioramento della propria condizione, non sortiva sostanziali variazioni migliorative o peggiorative, lasciando quindi immutato il quadro come cristallizzato nella prima consulenza.

Allorquando un intervento medico si esegua su una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente e risulti, secondo le regole di una sua esecuzione ottimale e per quanto accertato a posteriori, che la situazione avrebbe potuto essere ripristinata soltanto in parte e non integralmente, e che, dunque, l’intervento comunque avrebbe lasciato al paziente una percentuale di compromissione della integrità, qualora la cattiva esecuzione dell’intervento abbia determinato una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente ulteriore rispetto alla percentuale che non si sarebbe potuta eliminare, il danno-evento dev’essere individuato nella compromissione della integrità dal punto percentuale corrispondente a quanto non sarebbe stato eliminabile fino a quello corrispondente alla compromissione effettivamente risultante.

Conclusivamente, il Tribunale fermo quanto statuito con sentenza non definitiva, rigetta le ulteriori richieste risarcitorie di parte attrice e compensa le spese di lite nella misura di 1/3.

Avv. Emanuela Foligno

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