Peggioramento della patologia per ritardo diagnostico (Cassazione civile, sez. III – 07/07/2023, n. 19360).

Tribunale e Corte di Appello di L’Aquila condannavano la ASL al risarcimento dei danni subiti dal paziente a causa dell’evoluzione del peggioramento della patologia, valutato nella misura del 7-8%.

I Giudici di secondo grado escludevano che il peggioramento delle conseguenze dell’ictus da cui la paziente era stata colpita alcuni giorni prima del ricovero (estensione alla gamba destra, e iniziale emiparesi riscontrata al braccio destro), fosse addebitabile ai ritardi diagnostici e terapeutici del personale della struttura sanitaria, essendosi trattato di effetti sostanzialmente legati all’iniziale insorgenza della malattia, che non fu possibile fronteggiare con tempestività in quanto il ricovero della paziente avveniva solo sei giorni dopo l’inizio della sintomatologia. Ed ancora specificavano che, sebbene il periodo di ritardo nell’inizio della terapia non avesse determinato un danno rilevante a carico della paziente, la Struttura doveva in ogni caso ritenersi responsabile di una minima evoluzione peggiorativa della patologia, valutabile nella misura del 7-8% rispetto al danno prodottosi per una causa estranea alla responsabilità dei medici della ASL, con la conseguente determinazione del danno in corrispondenza di tale misura. Diversamente dal primo grado, in appello il danno veniva liquidato  nella minor misura prevista dalle tabelle di cui il D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139.

I familiari deducono in Cassazione che la Corte sarebbe caduta in contraddizione, laddove da un lato, escludeva che tale ritardo avesse assunto una qualche incidenza nell’aggravamento degli effetti dell’ictus (con particolare riguardo all’estensione, dell’iniziale emiparesi del braccio destro alla gamba destra) e, dall’altro, riconosceva che tale ritardo avesse comunque contribuito all’evoluzione peggiorativa della patologia da cui la paziente era affetta.

Censurano, inoltre, come pacificamente provato il peggioramento della paziente proprio nei giorni del ricovero presso la Struttura sanitaria, durante i quali i Medici avevano colpevolmente ritardato l’esecuzione dei necessari accertamenti diagnostici e, conseguentemente, differito colpevolmente l’avvio della corretta terapia.

La Suprema Corte ritiene le censure infondate.

La motivazione della Corte di Appello ha dato conto, in maniera lineare e coerente, come l’estensione dell’emiparesi alla gamba destra della paziente dovesse causalmente ricondursi, in modo integrale, all’ictus avvenuto ben prima che la stessa fosse ricoverata presso la Struttura sanitaria, evidenziando come i successivi inadempimenti del personale sanitario (ritardata diagnosi e ritardata somministrazione della terapia corretta), avessero inciso in maniera non significativa sul decorso causale, avendo limitato la propria incidenza al solo aggravamento delle conseguenze, peraltro in una misura convenientemente riducibile a quel 7-8% accertato dalla CTU.

Al riguardo, i Giudici di appello hanno correttamente sottolineato che, anche un ritardo di due settimane nell’accertamento della patologia e nella somministrazione della terapia corretta, non valesse a inscriversi significativamente nell’ambito dell’evoluzione causale dell’emiparesi (integralmente ascritta a quanto immediatamente prodotto dall’ictus prima del ricovero, benché manifestatasi a distanza di alcuni giorni).

Ed ancora, evidenziano gli Ermellini, è stato ampiamente sottolineato come la spiegazione dei benefici (peraltro molto modesti) immediatamente riscontrati a seguito della somministrazione della corretta terapia, non potesse necessariamente ricondursi a tale somministrazione, quanto invece alla progressiva stabilizzazione evolutiva della patologia.

Ergo, le valutazioni e le motivazioni di secondo grado risultano corrette e il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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