Perforazione di utero e intestino a seguito di raschiamento (Cassazione penale, sez. IV,  dep. 18/10/2023, n.42453).

Lesioni personali colpose per il Ginecologo che provocava alla paziente perforazione di utero e intestino.

La Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza di primo grado che riconosceva il Ginecologo colpevole del reato di lesioni personali colpose per avere cagionato alla paziente la perforazione di utero e intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta virulenta gangrenosa che culminava nella resezione di 25 cm di ileo, condannandolo alla pena di mesi tre di reclusione nonché al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile Azienda Ospedaliera.

In punto di fatto, la paziente veniva sottoposta a intervento di revisione della cavità uterina per aborto alla V settimana.  La sera stessa la paziente lamentava forti dolori pelvici che inducevano il  medico di turno, a differire le dimissioni della paziente disposte dal Ginecologo che aveva eseguito il raschiamento, e ad effettuare un nuovo controllo ecografico che evidenziava il persistere di materiale abortivo nell’utero. La donna, pertanto, veniva sottoposta da altro Medico, il giorno successivo, ad un nuovo intervento di revisione della cavità uterina, con dimissioni nella stessa serata. A breve la donna veniva nuovamente condotta in ospedale, dove veniva sottoposta a Tac che evidenziava la perforazione dell’intestino. Si eseguiva laparatomia longitudinale e asportazione di 25 cm di ileo terminale, tuttavia il decorso post operatorio si complicava per l’insorgenza di linfedema degli arti inferiori ed infezione della ferita chirurgica oltre che per il persistere delle algie.

Dai controlli successivi alle dimissioni emergeva un quadro ecografico di dilatazione delle tube oltre che il persistere di materiale abortivo in utero. Il Giudice di primo grado, sulla scorta della consulenza del P.M. e della parte civile, affermava il nesso di causalità tra l’intervento di revisione della cavità uterina eseguito il 26.1.2016 e la perforazione dell’utero e dell’intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta gangrenosa conseguente alla omessa tempestiva diagnosi della lesione intestinale che culminava nella resezione di cm 25 di intestino.

La sentenza di appello, come detto,  ha confermato le motivazioni in fatto e in diritto della sentenza di primo grado. 

Il Ginecologo imputato ricorre in Cassazione deducendo non conformità alla regola causale “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”. Nello specifico, sottolinea che il consulente del PM, concludeva che non era possibile stabilire in quale dei due interventi di revisione della cavità uterina si fosse verificato il danno tanto che l’Ufficio di Procura aveva avanzato la richiesta di archiviazione. Con il secondo motivo deduce la motivazione illogica e contraddittoria in relazione al meccanismo di determinazione della pena laddove il giudice d’appello non ha inteso diminuire la pena irrogata in primo grado.

La prima censura è fondata.

In tema di responsabilità medica, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento lesivo per il paziente, in quanto “solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo per il paziente sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (vedi tra le ultime Sez. 4, n. 37193 del 15.9.2022)”.

Il giudizio controfattuale impone di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita,  avrebbe potuto evitare l’evento, o, in ipotesi di condotta commissiva, l’assenza della condotta commissiva vietata, avrebbe potuto evitare l’evento , e richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è accaduto (cosiddetto giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta.

Per effettuare il giudizio controfattuale è quindi, necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall’agente, l’evento lesivo sarebbe stato, o meno, evitato o posticipato.

Ciò e del tutto logico poiché, solo conoscendo tutti gli aspetti fattuali ed il decorso della malattia, è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza applicabili.

Sul punto, gli Ermellini richiamano i noti principi delle Sezioni Unite del 2002 (30328 sentenza Franzese) e ribadiscono che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il Giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile. Svolti tali richiami precisano che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal Giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.

Nel caso di specie la Corte di Appello non ha applicato correttamente tali principi. La colpa addebitata all’imputato è quella di avere, in occasione del raschiamento, cagionato alla paziente la perforazione di utero e intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta virulenta gangrenosa culminata poi in un intervento di resezione.

Ebbene, il consulente del PM,  pur riconoscendo il nesso di causalità tra l’intervento di revisione della cavità uterina e la perforazione dell’intestino ha tuttavia aggiunto che “e’ difficoltoso stabilire quale dei due medici  che hanno eseguito i due interventi di raschiamento abbia cagionato la lesione, pur precisando che la presenza di tensione addominale e la nausea manifestatasi dopo il primo intervento lascerebbe propendere per una possibile complicanza legata alla revisione eseguita nel primo intervento” . Ad analoghe conclusioni giunge il secondo consulente che ha ritenuto “..diversi dati clinici inducono a ritenere che la perforazione sia stata prodotta nel corso del primo intervento”.

Ne deriva,  quindi, che non risulta accertato il nesso di causalità tra l’intervento effettuato dall’ imputato e la perforazione dell’intestino subita dalla paziente, giudizio che invece è stato espresso in termini meramente probabilistici dai consulenti tecnici.

Per tali ragioni,  la sentenza impugnata viene annullata con rinvio alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione, per un nuovo giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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