Policontusioni e distorsione cervicale per infortunio (Cassazione penale, sez. IV, dep. 08/02/2023, n.5412).

Policontusioni e distorsione colonna cervicale con prognosi superiore a 40 giorni per infortunio sul lavoro.

 La Corte di Appello di Trento, confermava la responsabilità del datore di lavoro, così come  accertato in primo grado dal Tribunale di Rovereto che, all’esito di giudizio abbreviato, ritenute le circostanze attenuanti generiche e del danno risarcito equivalenti alle contestate aggravanti e operata la riduzione per il rito, lo condannava alla pena condizionalmente sospesa di mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, in quanto riconosciutolo colpevole del reato p. e p. dagli artt. 40 cpv c.p., art. 590 c.p., comma 3 in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 1.

Al datore veniva attribuita colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia nonché nella violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, specificatamente il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 64, comma 1 lett. a) (con riferimento ai punti 1.7.2, 1.7.3 e relativi sottopunti dell’Allegato IV del D.Lgs. n. 81 del 2008 richiamati al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63, comma 1), per avere omesso di provvedere affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti indicati nell’Allegato IV del D.Lgs. n. 81 del 2008.

Nello specifico, la postazione sopraelevata (soppalco presente nel magazzino) non era provvista, su tutti i lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti; nello specifico il parapetto, ed in particolare il corrente superiore dello stesso, risultava posto ad una altezza utile dal piano di calpestio inferiore a quella prevista dalla norma e costruito o fissato in modo da non garantire la sua resistenza tenuto conto delle condizioni ambientali e della sua specifica funzione, procurando al lavoratore una caduta sul piano sottostante per un dislivello di oltre tre metri, cui seguivano policontusioni e distorsioni.

La decisione viene impugnata in Cassazione ove, per quanto qui di interesse, il ricorrente censura mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione al giudizio di responsabilità e alla durata della malattia, alla mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 590 c.p., comma 1, da ritenersi estinto per remissione della querela.

Evidenzia il ricorrente che il lavoratore aveva presentato atto di querela, ma questo solo nella imminenza della scadenza del termine di legge, non si è costituito parte civile e, nelle more, ha definito in via transattiva ogni pretesa nei confronti del datore di lavoro imputato, attraverso la corresponsione dell’importo di euro 5.000 Euro e contestuale rimessione di querela.

Evidenzia, inoltre, che la certificazione medica del lavoratore, successiva all’infortunio, è decisamente contraddittoria poiché contiene patologie completamente diverse rispetto al primo accesso in Pronto Soccorso effettuato il giorno del sinistro.

Le doglianze vengono considerate infondate.

Le censure del datore di lavoro si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza alcun confronto critico con le motivazioni  fornite dai Giudici del gravame del merito.

I Giudici di secondo grado hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono giunti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico non censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

La decisione in questione è allineata con quanto più volte affermato dalla Corte di legittimità.

Gli Ermellini richiamano una recente decisione (Sez. 3, n. 42297/2022), dove si è sottolineato che il meccanismo che è stato consegnato dal legislatore contempera le esigenze di tutela della salute con quelle di tutela del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio, prevedendo la necessità della richiesta – in deroga alla ordinaria previsione che, nei giudizi di merito, facoltizza l’imputato a presenziare e stabilisce che il difensore debba essere presente, eventualmente a mezzo sostituto processuale – di trattazione orale da esercitarsi nel termine decadenziale di gg. 15 antecedenti l’udienza fissata, al fine di consentire la razionale organizzazione dei ruoli di udienza, consentendo nel contempo di contenere la presenza fisica di tutte le parti in periodo di emergenza pandemica al fine di evitare il rischio di contagio.

Ciò posto, in punto di responsabilità, i Giudici di appello hanno offerto ampia motivazione in ordine alla responsabilità datoriale, anche in ragione delle criticità sollevate dalla difesa dell’imputato, alle quali ha fornito adeguata risposta, con cui il ricorrente non si confronta, riproponendo integralmente le proprie difese.

Anche sulla durata della malattia del lavoratore infortunato, la Corte di appello ha chiarito come le valutazioni dei medici dell’INAIL siano state consapevoli e soprattutto che “non è vero che la persona offesa, dopo l’infortunio, abbia rifiutato l’intervento di un’ambulanza”.

Entrambi i Giudici di merito hanno ritenuto decisivo che i Medici dell’INAIL abbiano riconosciuto una prima proroga di malattia già il 24 gennaio, cioè prima della seconda visita al Pronto Soccorso, nella quale sarebbe emersa la presenza della gonalgia. Per cui delle due l’una: “o i Medici hanno certificato una durata complessiva di 70 giorni, ignorando il (cioè a prescindere dal) dolore al ginocchio, oppure hanno ritenuto che quest’ultimo fosse conseguenza anche dell’infortunio sul lavoro”.

Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese di lite e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Avv. Emanuela Foligno

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