Procedimento di ATP e CTU non depositata nei termini (Trib. Verona, sez. I, 11 gennaio 2022, n. 361)

Procedimento di ATP e deposito della CTU sono gli argomenti trattati dalla decisione a commento.

In sintesi, la decisione raggiunta sulla domanda di responsabilità sanitaria: “La causa di merito ex art. 702-bis c.p.c. per responsabilità medica va introdotta entro 6 mesi dalla proposizione del ricorso per CTP ex art. 696-bis c.p.c, a prescindere dall’intervenuto deposito della CTU, onde far salvi gli effetti non solo processuali, ma anche sostanziali della domanda.”

La questione, non di poca importanza, riguarda se il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto dopo i 90 gg. dal deposito dell’elaborato, o dopo il termine semestrale dalla proposizione del ricorso per ATP, sia procedibile e salvifico degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

Come noto, l’art. 8 della L. 24/2017 (Legge Gelli-Bianco), stabilisce che chi intenda promuovere una causa di risarcimento per responsabilità sanitaria abbia l’onere, previamente, o di radicare una Mediazione, oppure di proporre un Ricorso ex art. 696-bis c.p.c. Tale adempimento è previsto come condizione di procedibilità della domanda. Il terzo comma del suddetto articolo stabilisce che la durata massima del procedimento di ATP è di sei mesi, da intendersi termine perentorio. Sempre il medesimo comma aggiunge che ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi,  la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se entro novanta giorni dal deposito della relazione o della scadenza del termine perentorio, sia depositato il Ricorso per cognizione sommaria.

La decisione a commento, dopo avere correttamente rilevato che il rispetto del termine di 90 giorni non riguarda la procedibilità della domanda, chiarisce un dettaglio molto importante: gli effetti della domanda che l’introduzione dell’azione di merito tempestiva fa salvi sono non solo quelli processuali, ma anche quelli sostanziali.

Difatti, il Giudice evidenzia: “il rispetto del termine di 90 giorni deve ritenersi funzionale a preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con il Ricorso per ATP e non già a rendere procedibile il conseguente giudizio di merito”.

Ragionando in tal senso ne deriva, pertanto, che l’azione di merito, essendo comunque procedibile, può anche essere proposta oltre il termine, però non vengono fatti salvi gli effetti della domanda.

Ebbene, doverose una serie di osservazioni. I termini del Legislatore sono due e si intersecano tra di loro: l’ATP deve durare al massimo 6 mesi; spirato tale termine, se la CTU non è stata depositata o l’accordo non s’è raggiunto, l’ATP abortisce. A questo punto, le parti, perché siano fatti salvi “gli effetti della domanda”, hanno 90 giorni per introdurre la causa di merito.

Secondo il Tribunale di Verona  “il Ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato oltre la scadenza del termine suddetto è procedibile, ma produce ex novo i suoi effetti sostanziali e processuali”.

Dunque quali sono gli effetti sostanziali che vengono travolti? Principalmente si potrebbe pensare alla prescrizione. Questa, però, è fatta salva dall’art. 2943 comma 1 c.c., perché tale disposizione stabilisce che la proposizione della domanda nell’ambito di un giudizio conservativo (come l’ATP v. Cass. n. 3357/2016), abbia effetto interruttivo della prescrizione.

Ed allora, gli altri effetti sostanziali e processuali sono la decadenza e la sospensione del termine di prescrizione. Quindi, riguardo gli effetti sostanziali, nel caso di ATP non conclusa nei 6 mesi e domanda di merito tardiva, il termine di prescrizione non va considerato come sospeso durante il procedimento. Tuttavia, il vero problema, che è l’interruzione della prescrizione, è superato dall’espressa previsione di legge.

La ratio del procedimento di ATP, giova ribadirlo, è quella di sgravare i Tribunali da controversie definibili con una Consulenza Tecnica. Difatti, l’ATP conciliativo assolve una funzione di istruzione tecnica preventiva, ma anche conciliativa. Considerato che in campo di responsabilità sanitaria siamo di fronte alla necessità di accertare i fatti attraverso una Consulenza Tecnica apposita, il giudizio di merito si porrebbe come eventuale.

Il ragionamento del legislatore è chiaro: partendo dall’idea che le controversie in campo sanitario di basano su questioni tecniche, la CTU è stata concepita come strumento che consente o di conciliare la lite, oppure di avere un giudizio di merito più agile, perché agevolato dall’elaborato peritale già formato.

Ragionando in tal senso, il procedimento và visto nella sua interezza, ovverosia siamo di fronte ad un unico procedimento che è formato da istruzione preventiva e eventuale giudizio di cognizione.

La decisione del Tribunale di Verona palesa un vizio dell’impianto legislativo.

Viene puntato il dito su di un aspetto che vanifica la ratio posta alla base dell’ATP come condizione di procedibilità in campo sanitario: la legge, laddove non consente di poter proseguire l’attività peritale oltre il termine perentorio semestrale, impedisce l’obiettivo deflattivo in modo ingiustificato.

Ad ogni modo, nel concreto, la norma, così come scritta, impone l’introduzione del giudizio di merito. Tale sistema, così concepito, porta in sé una incongruenza, perché pur muovendo dall’obiettivo di favorire la definizione non contenziosa delle liti, finisce per porsi come generatore di vertenze di merito “al buio”.  Nel momento in cui si impone la chiusura dell’ATP, si costringe la parte che si ritiene danneggiata dall’operato dei sanitari a introdurre il giudizio di merito senza avere certezze più consolidate sugli aspetti tecnici della controversia.

Se lo scopo dell’ATP è quello di incentivare una deflazione del contenzioso, il fatto che tale procedimento non si concluda nel termine di sei mesi non giustifica la determinazione di impedire che lo stesso possa proseguire, né rende ragione della necessità di introdurre una causa di merito, necessariamente più ampia rispetto al procedimento di istruzione.

La previsione di perentorietà del termine, pare quindi frustrante e antitetica alla ratio dell’istituto.

Avv. Emanuela Foligno

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