Prova del danno materiale nel sinistro stradale (Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2023, dep. 09/03/2023, n.7012).

Prova del danno materiale subito dal veicolo in caso di sinistro stradale.

Il danneggiato adiva il Giudice di Pace di Foggia onde ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal sinistro avvenuto tra il suo veicolo e quello responsabile dell’evento.

Il Giudice di Pace adito rigettava la domanda attorea ritenendola non provata, in considerazione delle risultanze della CTU, da cui era emerso che il valore commerciale dell’auto era pari ad Euro 1.000,00, e che, inoltre, non erano state fornite fatture in riferimento alla riparazione dell’autovettura. Inoltre, dalla fase istruttoria era emerso che il veicolo in questione era stato venduto al prezzo di euro 2.000,00.

Successivamente, il Tribunale di Foggia, in funzione di Giudice di appello, confermava la sentenza di prime cure e rigettava l’appello, con condanna alle spese per l’appellante, in applicazione del criterio della compensati lucri cum damno, “essendo evidente che dall’alienazione del mezzo l’appellante ha ricavato un valore maggiore rispetto a quello del bene ante sinistro ed un valore addirittura maggiore a quello delle riparazioni necessarie al ripristino”.

Il danneggiato impugna in Cassazione e contesta alla Corte d’Appello di avere applicato erroneamente la regola della compensazione lucri cum damno in quanto la vendita del veicolo da cui sarebbe ricavato un vantaggio, costituisce un fatto del tutto indipendente dall’evento illecito.

La censura non è fondata.

Secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, la compensazione presuppone che il vantaggio ricavato dopo il fatto illecito,  abbia la funzione di riparare al pregiudizio (Cass. sez. un 12564-2018), e che dunque non sono da compensare con il danno subito quei vantaggi che hanno funzione diversa da quella risarcitoria o di riparazione in generale.

Il Tribunale ha qualificato come compensazione un fatto che invece ha escluso del tutto il danno. La circostanza che la vettura danneggiata sia stata venduta ad un prezzo superiore, non solo al danno subito, ma anche al valore stesso del bene, comporta che alcun pregiudizio ha subito in concreto la ricorrente, che possa doversi risarcire a carico del danneggiato.

E’ del tutto valido il criterio differenziale per stimare una perdita: serve il confronto tra la situazione patrimoniale anteriore al fatto del danneggiante e quella successiva: se il patrimonio ha un valore complessivo minore, vi è il danno, viceversa non vi è danno.

Se il danneggiato avesse venduto il veicolo ad un valore inferiore a quello precedente il fatto illecito, allora può dirsi che il sinistro ha influito sul bene medesimo, determinandone un ricavato minore.

Tuttavia, il ricorrente non ha dimostrato che il danno subito dal veicolo (circa 1500 Euro) ha inciso sul prezzo di rivendita; ed anzi, risulterebbe il contrario, posto che il valore della vettura era stato stimato in 1000 Euro, ed invece l’automobile è stata rivenduta a Euro 2000. Ciò significa che il danno dovuto all’incidente non ha influito sulla vendita e, dunque, non ha costituito un pregiudizio per il proprietario.

Ciò è valevole sia che la vettura sia stata riparata, poiché il valore della vendita ha annullato il costo della riparazione; sia qualora non sia stata effettuata alcuna riparazione, per una ovvia ed analoga ragione.

Con il secondo motivo si deduce che la controparte non abbia contestato il quantum preteso, né il preventivo per la riparazione del veicolo. Con il terzo motivo si deduce la mancata liquidazione del danno per equivalente.

Questi motivi sono assorbiti dal rigetto del primo, ma ad ogni modo sono inammissibili.

Avv. Emanuela Foligno

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