Sostituzione della valvola mitralica e peggioramento del paziente (Cassazione civile, sez. III, 30/10/2023, n.30133).

Peggioramento delle condizioni di salute del paziente dopo la sostituzione della valvola mitralica.

I familiari del paziente deceduto citavano davanti al Tribunale di Palermo la Clinica e due Medici chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni da loro patiti, iure proprio e iure hereditatis, a causa del decesso verificatosi a seguito di un intervento chirurgico di sostituzione della valvola mitralica e del relativo trattamento post-operatorio.

A sostegno della domanda esponevano che il paziente veniva sottoposto a un ricovero programmato nel reparto di chirurgia cardio-toraco-vascolare della Clinica con diagnosi di valvulopatia mitralica; che veniva sottoposto ad un intervento di sostituzione della valvola mitralica, nel corso del quale erano emerse alcune aderenze pleuriche a sinistra, per cui al paziente, affetto da pneumotorace ipertensivo sinistro, era stato posizionato un tubo di drenaggio pleurico; che dal giorno successivo all’intervento le condizioni del paziente erano progressivamente peggiorate, fino alla morte. Inoltre, esponevano che secondo i periti incaricati in sede penale, la causa della morte risiederebbe nell’erroneo trattamento postoperatorio, in quanto i sanitari si erano occupati esclusivamente degli aspetti attinenti all’intervento cardiaco cui il paziente era stato sottoposto, trascurando quelli attinenti all’apparato respiratorio e lo pneumotorace.

Il Tribunale rigettava la domanda nei confronti del Dott. D.M. e accoglieva invece quella proposta nei confronti della Clinica Villa Maria e del Dott. P., condannandoli al pagamento della somma di Euro 13.690,00 oltre interessi al tasso legale nei confronti di tutti gli attori; di Euro 286.510,54 oltre interessi al tasso legale in favore della moglie; di Euro 214.930,80 oltre interessi al tasso legale in favore di del figlio convivente; di Euro 165.000,00 oltre interessi al tasso legale in favore di figlio non convivente.; di Euro 100.000,00 per ciascuno, oltre interessi al tasso legale, in favore degli altri parenti costituiti.

La pronuncia è stata impugnata in via principale, con due autonomi atti di appello, dai dottori D.M. e P.. La Corte d’appello di Palermo accoglieva il gravame, attinente alla compensazione delle spese;. ha parzialmente accolto l’appello proposto relativo alla quantificazione del danno patrimoniale condannando il Dott. P. e la Clinica.

Per quanto qui di interesse,  la Corte territoriale – esaminando il primo motivo di appello del Dott. P. e il primo motivo di appello incidentale della Casa di Cura, aventi ad oggetto la censura per un’asserita nullità della C.T.U., derivante dall’utilizzo, da parte dei periti, di documenti non prodotti dalle parti, ma di propria iniziativa reperiti nel fascicolo del procedimento penale – ha innanzitutto chiarito che i documenti esaminati dagli ausiliari del Giudice e oggetto della contestazione in esame erano lastre radiografiche, i cui referti erano stati già prodotti nel giudizio di primo grado ;. ha poi osservato che al C.T.U. “e’ consentita l’acquisizione di elementi di riscontro, anche documentali, rispetto alle allegazioni e produzioni delle parti”, purché a queste sia consentito verificarne la fonte di acquisizione, la loro pertinenza e rilevanza.

Ciò premesso, i Giudici di appello hanno affermato che il momento critico della vicenda era da individuare nella gestione post-operatoria del paziente, dato che a quel punto la fase chirurgica, ovverosia la sostituzione della valvola mitralica, si era esaurita ;. e ha dichiarato di condividere il giudizio di responsabilità a carico del Dott. P. già formulato dal Tribunale. Richiamate le conclusioni della CTU, è stato rilevato che le radiografie effettuate subito dopo l’intervento, in data 23 novembre 1999, evidenziavano la presenza di uno pneumotorace bilaterale, nonostante il drenaggio apposto dal lato sinistro nel corso dell’intervento, “complicazione non riconosciuta e non trattata per alcuni giorni, nonostante fosse prevedibile in soggetti con un quadro clinico come quello del de cuius, affetto da broncopatia cronica enfisematosa con severo deficit ostruttivo“.

Secondo i Consulenti l’omissione sarebbe consistita, nella fase successiva all’operazione, nel mancato approfondimento diagnostico, anche attraverso una TAC, al fine di individuare lo pneumotorace bilaterale, da trattare con ulteriori tubi di drenaggio o con un ulteriore intervento e il Dott. P. avrebbe dovuto individuare e prevedere le complicazioni insorte nella fase operatoria e in quella immediatamente successiva. Solo in data 25 novembre 1999, invece, era stato drenato il cavo pleurico di destra, con un intervento valutato insufficiente. La Corte d’appello, quindi, ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale in quanto l’omissione era avvenuta quando il paziente era ancora sotto il controllo del Dott. P..

Sul riparto delle rispettive responsabilità, i Giudici di appello hanno osservato che il Tribunale correttamente graduava le rispettive colpe tra casa di cura e medico appellante in misura paritaria, in conformità ai principi degli artt. 2055 e 1298 c.c., che pongono le presunzioni di pari concorso nel fatto dannoso e di suddivisione dell’obbligazione solidale in eguali quote tra i diversi debitori ; presunzione che il Dott. P. avrebbe dovuto superare provando una diversa misura delle colpe e della derivazione casuale del sinistro.

Il Medico soccombente propone ricorso per Cassazione. Deduce nullità della CTU per avere la Corte di merito emesso una decisione fondata su un convincimento derivante da una CTU viziata dall’illegittima acquisizione di documenti non prodotti in giudizio da parte dei consulenti tecnici. Il ricorrente ricostruisce la vicenda processuale riguardante la CTU oggetto di censura, esponendo che i Consulenti nominati nel primo grado di giudizio avevano formato il proprio convincimento e redatto la perizia dopo aver acquisito lastre radiografiche e referti dal fascicolo del procedimento penale. Il Giudice aveva accolto con ordinanza l’eccezione sollevata in merito alla nullità della C.T.U., sul presupposto del mancato consenso delle parti all’acquisizione di documentazione non prodotta ; successivamente, quell’ordinanza era stata revocata dal Tribunale, sul rilievo che le lastre reperite dai Consulenti non costituivano documentazione nuova. Secondo il ricorrente, i periti nominati avevano dichiarato di aver visionato e ritirato, senza alcun consenso, i referti e le lastre oggetto del processo penale che non facevano parte del fascicolo del giudizio civile ; e quella documentazione costituiva l’unica fonte probatoria che aveva determinato il convincimento dei periti in merito all’insorgenza dello pneumotorace bilaterale, nella cui mancata individuazione e trattamento tempestivi era stata riscontrata la responsabilità del medico. Sarebbe stato quindi onere degli attori, nel rispetto dell’art. 2697 cit., produrre in giudizio i documenti in questione. La motivazione resa sul punto dalla Corte d’appello sarebbe del tutto insufficiente, non avendo affrontato il problema della presunta illegittima acquisizione del mezzo istruttorio.

La censura non è fondata. I Giudici di appello hanno esaminato il punto in questione e hanno osservato che nel processo civile “e’ consentita l’acquisizione di elementi di riscontro, anche documentali, rispetto alle allegazioni e produzioni delle parti”, purché a queste sia consentito verificare la fonte di acquisizione e la loro pertinenza e rilevanza.”

Ebbene, pur essendo il processo penale e quello civile due entità distinte e separate, l’acquisizione delle lastre e dei referti da parte dei Consulenti nominati in sede civile non costituisce una violazione delle regole sull’onere della prova.

Le Sezioni Unite hanno cristallizzato il principio secondo cui “in materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio.”

La S.C. dà continuità a tale principio evidenziando che i documenti in questione ben potevano essere acquisiti dai Consulenti civili anche in assenza di un’attività di allegazione delle parti. Non può sostenersi che tali documenti  siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda. Le radiografie “contestate” sono uno dei tasselli del mosaico che gli ausiliari del giudice ben potevano esaminare anche d’ufficio, tanto più che il processo penale si era concluso con una sentenza dichiarativa della prescrizione del reato e non con un’assoluzione nel merito.

Correttamente la Corte territoriale ha incentrato la propria attenzione sul periodo immediatamente successivo all’intervento chirurgico di sostituzione della valvola mitralica ed ha osservato che la responsabilità del Dott. P. era da ricondurre al mancato adeguato e tempestivo trattamento dello pneumotorace bilaterale che si era evidenziato a carico del paziente nel periodo immediatamente successivo all’intervento, “quando il paziente era ancora sotto il suo controllo”.

Infatti, mentre le radiografie effettuate nel postoperatorio – cioè il giorno dopo l’intervento, quando il chirurgo operante certamente era ancora chiamato a controllare la situazione – avevano evidenziato lo pneumotorace bilaterale, in realtà il drenaggio fu apposto solo a sinistra. Fu soltanto il 25 novembre successivo, cioè dopo altri due giorni, che si attuò il drenaggio anche dello pneumotorace destro, con un intervento ritenuto insufficiente e tardivo. E la Corte di merito ha aggiunto,che “la sovrapposizione infettiva polmonare e la sepsi sistemica, cause dirette della morte, avrebbero potuto essere prevenute con il precoce riconoscimento e trattamento dello pneumotorace“.

Il ricorso del Medico viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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