A seguito di due trasfusioni di sangue infetto avvenute alla nascita, una donna è stata risarcita dal ministero. Aveva contratto l’Epatite C

Dieci anni fa, una donna di 45anni aveva scoperto di aver subito, alla nascita, due trasfusioni di sangue infetto.
Questo aveva fatto sì che la donna convivesse con l’epatite C per larga parte della sua vita senza saperlo.
Ma ecco i fatti. La protagonista della vicenda era nata proprio all’ex ospedale al Mare del Lido di Venezia nel 1972. A causa di alcune patologie che le vennero riscontrate, i medici avevano disposto due trasfusioni a distanza di un paio di mesi l’una dall’altra.
La prima di 450 millilitri, la seconda di 255. Questa decisione si era resa necessaria per curare una malattia emolitica della neonata.
Purtroppo però, le trasfusioni di sangue infetto avevano fatto sì che la bambina contraesse una infezione da Epatite C, con la quale convive tuttora.

Per questo motivo, il ministero della Salute è stato condannato a risarcire la donna con 134.241,65 euro, oltre al pagamento delle spese legali.

La scoperta del contagio dell’Epatite C, però, è avvenuta soltanto dieci anni fa, al termine di alcune visite di controllo.
A seguito di questa scoperta, la donna ha preso la decisione di rivolgersi allo studio dell’avvocato Renato Mattarelli per chiedere un risarcimento danni al ministero.
A suo avviso, quest’ultimo era colpevole di non aver controllato a dovere il sangue trasfuso.

“È difficile accettare questa condizione a 35 anni – dichiara il legale della donna vittima delle trasfusioni di sangue infetto – si ha ancora tutta la vita davanti. La mia assistita cadde in una profonda depressione”.

La sentenza del giudice Carmen Bifano, che ha condannato il ministero al risarcimento, ha valorizzato in particolare “il danno psichico alla vita di relazione (patito dalla giovane) piuttosto che il danno fisico epatico”.
“Per chi convive con l’epatite C e, come la donna di Latina, ha sempre convissuto (pur non ancora sapendolo) con la malattia – spiega il legale della donna, l’Avv. Mattarelli – tutto cambia, dalle abitudini igieniche a quelle alimentari, al rapporto con il coniuge e con i figli, si ha paura di contagiare gli altri”.
Il ministero della Salute ha sottolineato, durante l’iter della causa, che ai tempi non c’era alcuna selezione dei donatori e non era possibile ricercare il virus Hcv.
Come testimoniato da diversi casi avvenuti in passato, le trasfusioni erano pratiche poco sicure e che comportavano diversi rischi. Essendo in una causa di tipo civile, è stata accertata la “preponderanza dell’evidenza”: una negligenza senza la quale con ogni probabilità il fatto contestato non si sarebbe verificato.
Questo è stato accertato nonostante la controparte avesse eccepito una mancanza di colpa “non essendo ancora nota nel 1972 la possibilità di veicolazione ematica di virus epatici“.
Alla luce di queste evidenze, il giudice ha quindi deciso di disporre, nei confronti della donna, un risarcimento danni “da emotrasfusioni infette”.
 
 
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