Trattamento sanitario obbligatorio: è sempre da escludersi il consenso informato del paziente?

Trattamento sanitario obbligatorio e pedissequa esclusione del consenso informato (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2023, n. 509).

Con la decisione a commento la Suprema Corte tratta la delicata tematica del consenso informato nel caso di trattamento sanitario obbligatorio.

Innanzitutto la Corte delinea la ratio di tale istituto. “Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario.”

Di talchè: “Si può intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni: l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti; l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.”

La vicenda trae origine da un TSO posto in essere nei confronti di un paziente seguito dal Centro di Salute Mentale del suo paese di residenza.

L’attore deduceva che il l’11 settembre 2001 si era recato presso il Centro di Salute Mentale per ritirare copia di una propria cartella clinica. In tale occasione, veniva trattenuto presso i locali della struttura, anche mediante l’ausilio della forza pubblica, per la sottoposizione ad un trattamento sanitario obbligatorio. Tale trattamento, proposto da due Medici del Centro di salute Mentale, era stato ordinato dal Sindaco del Comune e il relativo provvedimento era stato convalidato, in data 13 settembre 2001, dal Giudice tutelare.

Il TSO si era reso necessario in conseguenza della manifestazione di un disturbo delirante cronico in fase di scompenso.

L’interessato instaura il giudizio civile nei confronti dell’ASL e del Ministero, ma la domanda veniva rigettata, sia in primo che secondo grado, per tardività della richiesta risarcitoria. La decisione di appello viene impugnata in cassazione dall’uomo.

La Suprema Corte statuisce che “Nonostante, dal punto di vista normativo, un paziente sia considerato, secondo una visione dicotomica, capace oppure incapace, la realtà clinica suggerisce che possano esistere degli spazi di autonomia e libertà decisionale residui anche in pazienti sottoposti a TSO». Pronunciandosi sul ricorso di un uomo sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, la Suprema Corte enuncia perché si è potuto prescindere dal suo consenso informato.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

Responsabilità sanitaria e riforma Cartabia

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui