Versamento pericardico ematico conduce al decesso (Cassazione civile, sez. III, 10/08/2023, n.24490.)

La vicenda trae origine da un intervento chirurgico eseguito d’urgenza. La paziente era stata ricoverata per gravi e numerose ferite riportate a seguito di un accoltellamento plurimo che le aveva determinato un versamento pericardico ematico, con conseguente decesso nel pomeriggio del giorno seguente.

La figlia della vittima citava a giudizio i tre Medici che seguivano la paziente nel corso del ricovero, contestandone la responsabilità per avere causato il decesso della madre. Sosteneva che la vittima,  dopo essere giunta al Pronto Soccorso dell’Ospedale, veniva ricoverata con la diagnosi di versamento pericardico ematico, ferite multiple superficiali in addome, in sede pettorale, arti superiori ed inferiori ed al volto, per accoltellamento; veniva operata d’urgenza e una delle suture chirurgiche avrebbe occluso un vaso coronarico conducendo a morte la paziente.

Il Tribunale di Pesaro rigettava la domanda, ritenendo che nessuna responsabilità potesse essere imputata ai Medici, aderendo pienamente alla tesi del C.T.U. in merito all’insussistenza di un nesso di causalità tra le presunte omissioni dell’ospedale e/o l’errore professionale dei sanitari che avevano eseguito l’intervento e la morte della paziente, reputando ragionevole e condivisibile la scelta di operarla in loco anziché di trasferirla nel più attrezzato ospedale di Ancona, ove l’esito nefasto non sarebbe stato comunque evitato.

Il Tribunale, inoltre, dichiarava d’ufficio il difetto di legittimazione degli altri 2 Medici, sull’assunto che non potessero essere indicati quali responsabili dell’evento, pur avendo fatto parte dell’equipe medica che aveva eseguito l’intervento.

Successivamente, la Corte di Appello di Ancona confermava la decisione di primo grado considerando esaustive le produzioni documentali e le risultanze del procedimento penale. I Giudici di appello ritenevano ragionevole e condivisibile la scelta di operare la donna ed evidenziavano la mancanza di elementi tali da far ritenere che fosse stato commesso un errore chirurgico da parte dei sanitari.

Ed ancora, la Corte territoriale, sulla base della celeberrima pronunzia S.U. n. 576/2008, ha ritenuto che, nel caso di condotta commissiva, il giudizio controfattuale deve essere svolto domandandosi se, ipotizzando come non avvenuta la condotta che si assume causa dei danni, l’evento lesivo si sarebbe ugualmente verificato.

In particolare, i Giudici di appello, sulla scorta della C.T.U., hanno affermato che:

a) doveva escludersi che le modalità tecniche con cui il Medico aveva eseguito l’intervento chirurgico avessero potuto costituire un pregiudizio per la situazione clinica della donna già gravemente compromessa al momento del suo ingresso in Pronto Soccorso per le molteplici ferite inferte in tutta la zona toracico addominale (due delle quali penetranti in cavità toracica ed un’altra trapassante la parete anteriore del ventricolo sinistro) e trattata chirurgicamente in condizioni di estrema urgenza;

b) l’episodio di arresto cardiaco che si era verificato al termine della procedura operatoria non poteva essere considerato conseguenza diretta dell’occlusione del vaso coronarico prodotto dalla sutura chirurgica;

c) le condizioni della paziente non avrebbero consentito un trasporto presso altra Struttura in condizioni di sufficiente sicurezza, e in occasione del quale non sarebbe comunque stato possibile praticarle quei trattamenti di medicina ed urgenza incompatibili con il tragitto in ambulanza, tanto da paventarsi il rischio morte durante lo spostamento, come anche ravvisato in sede di incidente probatorio dai periti nominati dal GIP, i quali avevano a loro volta evidenziato la correttezza del modus operandi della Struttura Sanitaria convenuta.

La congiunta propone ricorso in Cassazione denunciando che i Medici e l’Azienda Ospedaliera non avrebbero eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, né avrebbero contestato la circostanza di aver partecipato all’evento che ha coinvolto la madre quali componenti l’equipe medico-chirurgica che ha eseguito l’intervento. Con una seconda censura lamenta la mancata considerazione della causa del decesso verificatosi per ischemia cardiaca acuta. Con il terzo e quarto motivo lamenta che non sarebbe stata presa in considerazione la natura periferica della lesione coronarica della vittima, né la possibilità di eseguire l’intervento con una tecnica chirurgica differente (bypass). Sostiene, inoltre, anche che la carente compilazione della cartella clinica che potrebbe essere interpretata come presunzione di colpa a carico del Medico e della Struttura ospedaliera da cui dipende.

Tutte le censure vengono considerate inammissibili poiché finalizzate a una differente interpretazione del materiale probatorio inammissibile in legittimità.

Ad ogni modo, la Suprema Corte evidenzia la tardività della notifica del ricorso per Cassazione. La ricorrente, avrebbe dovuto notificare il ricorso entro 60 giorni dalla notifica della sentenza (5 marzo 2020) e, dunque, tenuto conto della sospensione straordinaria dei termini processuali ex DL 17 marzo 2020 n. 18, art. 83 per l’emergenza sanitaria COVID-19, entro e non oltre il 7 luglio 2020. Il ricorso è stato notificato in data 16 novembre 2020.

Il ricorso viene, pertanto, dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno.

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