La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 10 mesi di reclusione per il reato di violenza sessuale posto in essere ai danni della vittima, afferrata per la testa e baciata per ben tre volte sulla bocca

La vicenda

All’esito del giudizio abbreviato, il Tribunale di Velletri condannava l’imputato alla pena di un anno e 2 mesi di reclusione, perché ritenuto colpevole dei reati di violenza sessuale (ritenuta l’ipotesi di minore gravità) e di ingiuria, a lui contestati per aver costretto l’offeso a subire atti a connotazione sessuale.

Con sentenza del gennaio 2018, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, assolveva il predetto imputato dal reato di cui all’art. 594 cod. pen., non essendo il fatto più previsto dalla legge come reato ed, eliminata la relativa pena, rideterminava la sanzione inflitta per il reato di violenza sessuale in 10 mesi di reclusione.

La Corte di Cassazione (Terza Sezione Penale sentenza n. 43100/2019) ha confermato la pronuncia dei giudici dell’appello, poiché coerente e immune da vizi.

Ed invero, le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni erano destinate a integrarsi per formare un unico corpus argomentativo, avevano innanzitutto operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, valorizzando in particolare, le dichiarazioni investigative dell’offeso, il quale aveva descritto in maniera chiara e puntuale il diverbio avuto la sera del fatto con l’imputato.

La discussione aveva avuto origine perché il primo mentre usciva dal portone di ingresso del condominio, accortosi del sopraggiungere dell’imputato, si era affrettato a chiudere il portone, ricevendo il disappunto di quest’ultimo, il quale aveva cominciato ad insultarlo offendendolo con epiteti omofobi. Successivamente, dopo averlo afferrato per la testa, lo baciava in bocca, inserendo con violenza la lingua; gesto che ripeteva altre due – tre volte, prima che il querelante, dopo essere stato ancora insultato, riuscisse a sottrarsi alla sua presa, recandosi prima a casa dei suoi genitori e, subito dopo, al Pronto Soccorso, dove gli veniva diagnosticato uno stato ansioso reattivo, con prognosi di cinque giorni e prescrizione dell’esame relativo all’HIV.

La decisione

Orbene, il racconto della persona offesa era stato ritenuto ragionevolmente credibile, in quanto dettagliato, lineare e coerente con l’oggettivo stato di agitazione riscontrato nell’immediatezza del fatto dai sanitari. Nessuna messinscena e nessuna giustificazione visti i pregressi rapporti di inimicizia.

A fronte delle pertinenti considerazioni dei giudici di merito, la difesa si era limitata a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio non consentita in sede di legittimità.

Come noto, è precluso alla Corte di Cassazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

Per tutti questi motivi, la sentenza di condanna è stata confermata e rigettato il ricorso della difesa perché inammissibile.

La redazione giuridica

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