L’avvertimento di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p. è previsto nell’ambito del procedimento volto a verificare la presenza dello stato di ebbrezza e presume la riscontrata volontà dell’interessato di sottoporsi all’alcoltest

La vicenda

Il ricorrente aveva proposto impugnazione contro la decisione della Corte d’appello di Milano che lo aveva condannato per essersi rifiutato di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza (c.d. alcoltest) ai sensi dell’art. 186, comma 7, c.d.s., 

Tra gli altri motivi di ricorso la difesa aveva dedotto la violazione dell’art. 114 disp. att. c.p.p. per l’omesso avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore prima del compimento dell’atto di accertamento mediante etilometro.

Il ricorrente aveva infatti rilevato che gli agenti, in considerazione della sua condotta di guida e dell’alito vinoso, avevano ritenuto di sottoporlo all’accertamento del tasso alcolemico. Ebbene, già in quel momento – secondo la difesa – sussisteva l’obbligo di avvertire l’imputato della facoltà di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p., che, nella specie, era stato disatteso dagli operanti.

I motivi di ricorso

La Corte territoriale, in risposta allo specifico motivo di gravame avanzato dalla difesa, aveva affermato che tale omissione imputabile agli operanti integrasse una nullità a regime intermedio, eccepibile fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado. Ed invero, la difesa aveva eccepito nei termini di legge l’avvenuta omissione; ma il fatto di aver, successivamente, prestato in udienza il consenso all’acquisizione degli atti di indagine, aveva sanato gli effetti dell’atto originariamente nullo.

Secondo il ricorrente tale affermazione era illogica e destituita di fondamento, in quanto è solo la scelta del rito abbreviato che determina la sanatoria delle nullità relative e la non rilevabilità delle inutilizzabilità degli atti. L’acquisizione della prova su accordo delle parti è infatti, un istituto che risulta pacificamente differente rispetto al giudizio abbreviato (…) e dunque, la scelta della difesa di acconsentire all’acquisizione degli atti di indagine, finalizzata unicamente allo snellimento dell’attività processuale, non fa venire meno il diritto della parte stessa di eccepire l’inutilizzabilità dell’atto acquisito, per violazione del diritto di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p..

La pronuncia della corte territoriale era inoltre, contraria al consolidato indirizzo giurisprudenziale che ritiene sussistente l’obbligatorietà di avvertire il conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore, già nel momento in cui l’organo di polizia, ritenendo desumibile uno stato di alterazione, si determini a procedere all’alcoltest.

Il giudizio di legittimità

La Corte di Cassazione (Quarta Sezione Penale, n. 4896/2020) pur condividendo le censure difensive ha rigettato in quanto, indipendentemente dalla risposta fornita dalla Corte territoriale, suscettibile di rettificata, l’affermazione operata dal giudice di primo grado era corretta.

I giudici della Suprema Corte hanno, infatti, affermato che nei casi come quello in esame, l’avviso previsto dall’art. 114 disp. att. c.p.p.  non è necessario, poiché il fatto oggetto di contestazione non è la guida in stato di ebbrezza (art. 186 C.d.S., comma 2), ma l’essersi il soggetto, sorpreso alla guida presumibilmente sotto l’effetto di alcol, rifiutato di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico (art. 186 C.d.S., comma 7).

Dunque la finalità del giudizio non è quella di “accertare se l’imputato abbia guidato in stato di ebbrezza. Egli, poteva evidentemente non esserlo e non avere ingerito affatto dell’alcool”. Ma il sol fatto di essersi rifiutato alla richiesta legittimamente rivoltagli di sottoporsi ad alcoltest, implica la commissione del reato che la norma, oggetto di imputazione, mira a sanzionare.

L’avviso della facoltà di assistenza legale e il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest

“Tale considerazione – ha aggiunto la Suprema Corte – può apparire ovvia, ma non lo è. Ciò perché l’avvertimento di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p. è previsto nell’ambito del procedimento volto a verificare la presenza dello stato di ebbrezza e l’eventuale presenza del difensore è volta a garantire che il compimento dell’atto in questione, in quanto atto a sorpresa e non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini.

Il procedimento, in altri termini, è certamente in corso allorquando si registra il rifiuto dell’interessato di sottoporsi all’alcooltest. Ma a questo punto – e nel momento stesso del rifiuto- viene integrato il fatto reato sanzionato dall’art. 186 C.d.S., comma 7. E non c’è più nessun atto da compiere per il quale vada dato l’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., norma che, come si dirà di qui a poco, anche letteralmente, si riferisce specificamente all’atto e non al procedimento”.

Il quadro normativo di riferimento è costituito dagli artt. 114 disp. att. c.p.p. e artt. 356 e 354 c.p.p..

L’art. 114 disp. att. c.p.p. (“Avvertimento del diritto all’assistenza del difensore”) così recita: “Nel procedere al compimento degli atti indicati dall’art. 356, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia”.
L’art. 356 c.p.p. (“Assistenza del difensore”) prevede che “(Il) difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli artt. 352 e 354 (…)”.
L’art. 354 c.p.p. (“Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro”), detta disposizioni per la eventualità di un pericolo di ritardo per tali accertamenti, demandati, a specifiche condizioni, alla iniziativa della polizia giudiziaria.

La decisione

Ebbene, “nel procedere al compimento degli atti” indica chiaramente che ci si accinge a compiere l’atto, che nel caso che ci occupa è quello di rilevazione dell’alcolemia a mezzo di etilometro. Ma se ci si sta apprestando a compiere l’atto significa che l’interessato vi acconsente. Il rifiuto eventuale – e con esso il reato istantaneo di cui all’art. 186 C.d.S., comma 7 – viene prima”.

Insomma la Corte di Cassazione ha affermato che l’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p. presume la riscontrata volontà dell’interessato di sottoporsi al controllo.

Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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