Diagnosi di coxalgia erroneamente formulata (Cassazione civile, sez. III, 25/10/2022, n.31574).

Diagnosi di coxalgia formulata in luogo di meningoencefalite grave.

I genitori del bambino convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano l’Azienda Ospedaliera esponendo:

-che il 4 giugno 2008 avevano portato il bambino, di pochi mesi, che da alcuni giorni presentava un pianto continuo, al P.S. dell’Ospedale e che veniva dimesso dal Medico di turno, dopo aver effettuato una radiografia, ipotizzando una diagnosi di coxalgia e prescrivendo la somministrazione di un antinfiammatorio;

-che il giorno seguente il bambino fu riportato al P.S. (ove era nuovamente in servizio il medesimo Medico) e, a seguito di analisi del sangue, ne venne disposto il trasferimento nel reparto di pediatria, ove veniva intubato, essendo stata rilevata la presenza di pneumococco;

-che la successiva diagnosi fu di meningoencefalite grave, con presenza di lesioni focali multiple sia del tronco encefalico che a livello degli emisferi cerebrali.

Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda condannando il Medico e l’ASST al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato in Euro 1.219.355,00, nonché del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore di ciascuno dei genitori.

La decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Milano.

La Corte milanese ha confermato l’entità del risarcimento nella misura liquidata in primo grado, rigettando la richiesta dell’Azienda sanitaria di rideterminarne l’importo parametrandolo alla minore aspettativa di vita del bambino rispetto a quella di un coetaneo sano, volta che tali minori aspettative erano da ritenersi conseguenza diretta e immediata dell’ illecito.

La Corte considerata l’impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita del bambino, e tenuto conto del carattere permanente del danno, ha ritenuto che la modalità del risarcimento in forma di rendita vitalizia meglio rispondesse alle concrete esigenze del danneggiato, garantendogli per tutta l’effettiva durata della vita la percezione di quanto liquidato annualmente. Al fine di calcolare l’importo annuo della rendita, la Corte ha operato il calcolo inverso sulla base della formula utilizzata per determinare il valore delle rendite vitalizie di cui al D.P.R. n. 131 del 1986 art. 46, comma 2, lett. c) (Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro). All’esito di tale calcolo, la Corte d’appello ha disposto la costituzione di una rendita vitalizia quantificata in Euro 1.283,53 mensili.

In conclusione, la Corte d’appello di Milano, per quanto di interesse, ha confermato la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni in favore del bambino, così come quantificato dal Tribunale, convertendo il risarcimento in forma capitale, in rendita vitalizia, e condannando la compagnia assicuratrice al pagamento diretto di quanto liquidato in favore degli attori, anche nella qualità di rappresentanti legali del minore, nonché a stipulare una polizza fideiussoria, con pagamento a prima richiesta, a garanzia della rendita vitalizia costituita in favore del bambino.

L’assicurazione propone ricorso per Cassazione.

Secondo la ricorrente la Corte d’appello avrebbe reso una pronuncia extra petita, dal momento che nessuna parte aveva formulato domanda di costituzione di una polizza fideiussoria a prima richiesta in caso di condanna della compagnia assicurativa.

Il motivo è infondato. L’art. 2057 c.c. dispone che “quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele”.

Tale norma trova applicazione qualora il Giudice di merito accerti l’esistenza di un danno alla persona di carattere permanente, e prevede la possibilità che la liquidazione di tale danno possa avvenire attraverso il meccanismo della rendita vitalizia. Quest’ultima costituisce una forma di risarcimento per equivalente (c.c. 13 gennaio 1993 n. 357), ed è fonte di un rapporto a esecuzione periodica, in cui la durata prevista è ” componente essenziale dell’utilità alla quale è ordinato il rapporto.

Non sussiste vizio di extrapetizione della pronuncia d’appello, rientrando tra i poteri del Giudice non soltanto quello di optare per la citata modalità di liquidazione del risarcimento in presenza dei presupposti previsti dalla legge, ma anche quello di disporre, all’esito, ed in via altrettanto officiosa, le “cautele” che ritiene necessarie.

Con la seconda censura, la ricorrente lamenta di essere stata condannata a tenere indenne l’ASST dal risarcimento del danno derivante da errata diagnosi di coxalgia effettuata da un dipendente privo di titolo e della qualifica di Medico.

In ogni caso, secondo la ricorrente, è pacifica la colpa grave della ASST, che aveva macroscopicamente omesso di esercitare i necessari doveri di controllo, non verificando la documentazione prodotta dal Medico per partecipare al concorso prodromico all’assunzione.

Il motivo è inammissibile nella parte in cui censura l’interpretazione del contratto d’assicurazione fornito dalla Corte d’appello, asserendo che la garanzia sarebbe andata a coprire solo l’attività svolta dal personale dotato di qualifica medico-sanitaria.

Infatti, l’interpretazione di un atto negoziale costituisce un accertamento riservato al Giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nella ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e segg. c.c. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

L’Assicurazione ricorrente non ha lamentato che vi sia stata una violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, limitandosi a prospettare una diversa ed alternativa interpretazione dello stesso contratto.

Al riguardo la Suprema Corte osserva che, nell’assicurazione della responsabilità civile, l’assicurato si cautela contro il rischio dell’alterazione negativa del suo patrimonio, in quanto l’assicuratore si impegna a tener indenne ed a reintegrare il patrimonio dell’assicurato attraverso il pagamento di una somma di danaro pari all’esborso dovuto dall’assicurato stesso in conseguenza di un fatto colposo a lui addebitato, anche se dovuto a colpa grave. Fondamento dell’obbligazione di risarcire il danno, a norma dell’art. 1917, comma 1, c.c., infatti, è l’imputabilità del fatto dannoso a titolo di colpa, mentre sono esclusi dalla garanzia assicurativa unicamente i danni derivanti da fatti dolosi dell’assicurato.

Pertanto, non risulta applicabile la norma di cui all’art. 1900, comma 1, c.c., che esclude dalla garanzia i fatti addebitabili per colpa grave, dettata per il differente caso dell’assicurazione della responsabilità contro i danni, nella quale l’interesse dell’assicurato, ai sensi dell’art. 1904 c.c., è il risarcimento del danno subito da un proprio determinato bene in conseguenza di un sinistro.

E’ corretto, quindi, che la Corte territoriale non abbia valorizzato la condotta colposa della struttura sanitaria.

Venendo alla terza censura, la decisione della Corte d’appello sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto che le dimissioni del minore in data 4 giugno 2008 per errata diagnosi di coxalgia costituissero il probabile antecedente causale della sua attuale condizione patologica.

Secondo la ricorrente, sarebbe infatti pacifico che l’infezione, al momento del primo accesso al P.S., fosse già in atto da almeno 15 giorni, e pertanto, anche se la diagnosi fosse stata corretta fin da quella data, la terapia non avrebbe comunque potuto essere impostata in maniera precoce. Di conseguenza, il comportamento del medico, al momento del contatto con il paziente, non avrebbe più potuto avere alcuna rilevanza causale per prevenirne, modificarne o migliorarne la condizione patologica.

La censura è inammissibile perché si traduce, in realtà, in una doglianza di merito rispetto all’accertamento della responsabilità del medico, incensurabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato dalla Corte facendo riferimento alle risultanze della CTU medico-legale pur dando atto delle critiche dei CT di parte, a cui i consulenti avevano offerto specifica risposta, confermando le proprie valutazioni.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo, ne rigetta il primo, cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

Avv. Emanuela Foligno

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