Edema polmonare post polmonite interstiziale (Cassazione penale, sez. IV dep. 27/10/2022, n.40585).

Edema polmonare post polmonite interstiziale e decesso del bambino.

La Corte d’Appello di Napoli, in riforma della pronuncia resa dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del Pediatra in ordine alla fattispecie di omicidio colposo, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione. Ha confermato le statuizioni civili concernenti la condanna in favore delle parti civili costituite al risarcimento del danno ed al pagamento della provvisionale a carico dell’imputato, in solido con il responsabile civile, ASL di Caserta.

Veniva contestato al Pediatra di avere cagionato il decesso del bambino di anni 8 determinato dall’insorgenza di edema polmonare dovuto a polmonite interstiziale.

Era contestato al ricorrente, in qualità di medico pediatra curante, di avere cagionato il decesso del paziente G.D., di anni 8, determinato dall’insorgenza di un edema polmonare dovuto ad una polmonite interstiziale.

I profili di colpa riguardavano la negligenza e l’imperizia, essendosi il Pediatra limitato a prescrivere una terapia farmacologica assolutamente inadeguata (sedativi per la tosse), pur nella persistenza dei sintomi rappresentati dai genitori, che duravano da molti giorni (febbre e tosse insistente); non eseguendo una visita diretta del bambino e non provvedendo ad indicare ulteriori approfondimenti; non riscontrando nulla di anomalo anche a seguito della visita domiciliare effettuata in data 28/1/2103.

I primi sintomi di malessere del bambino insorgevano in data 11 gennaio 2013 (febbricola e forte tosse); la madre interessava il medico curante solo in data 16 gennaio, chiamandolo telefonicamente. Il medico prescrisse “Seki” sciroppo e “Hederix plan” supposte. Il giorno 23 la situazione peggiorò anche per l’innalzamento della temperatura ed il bambino smise di andare a scuola (il medico aveva rilasciato un certificato di riammissione il giorno 16); la sera del giorno 27 gennaio la febbre risalì a 38 ed il giorno 28 gennaio il Pediatra si recò a al domicilio per visitare il bambino, auscultando le spalle ed il torace, e continuando a prescrivere la terapia iniziale. Durante la notte il bambino decedeva.

Nel corso del giudizio di primo grado era conferito incarico ad un collegio di periti i quali addivenivano alla conclusione che il piccolo fosse deceduto a causa di una polmonite interstiziale di origine virale, su cui si era innestata una polmonite batterica a rapidissima evoluzione, repentinamente estesasi a tutto l’alveo polmonare. Attribuivano a tale causa l’insufficienza respiratoria con ipossiemia e ipossia, l’insufficienza cardiocircolatoria e l’edema polmonare terminale finale osservato nell’autopsia, escludendo un evento cardiaco. I Consulenti esprimevano perplessità sull’adeguatezza della terapia prescritta dal Pediatra, evidenziando come “i due farmaci, Seki e Hederix, agiscano entrambi sul sistema nervoso centrale, inibendo lo stimolo della tosse senza rimuoverne le cause. Ritenevano in particolare come l’Hederix, contenente codeina, essendo capace di deprimere i centri respiratori, fosse sconsigliato per i bambini al di sotto dei dodici anni ed anzi controindicato nel caso in esame, essendo il bambino sovrappeso”.

I Giudici di merito confermavano i profili di responsabilità individuati nella imputazione elevata a carico del Pediatra che propone ricorso per Cassazione.

Sostiene l’imputato che l’alternativa ricostruzione riguardante le cause della morte del minore rappresenti una tesi isolata. I Consulenti tecnici di parte, oltre ad evidenziare la presenza di talune incongruenze nella ricostruzione delle cause del decesso, avevano analizzato e sostenuto una possibile causa alternativa della morte, individuata in una patologia cardiaca. Rilevavano che la vittima non presentava i sintomi della polmonite interstiziale, la quale si manifesta con difficoltà respiratorie; inoltre, il reperto anatomopatologico non risultava completo con riferimento ai prelievi polmonari. Peraltro, stante l’assenza di disfunzioni respiratorie, non vi erano indicazioni per prescrivere il ricovero del bambino o per effettuare una radiografia, conclusione condivisa dagli stessi periti d’ufficio.

Il ricorrente lamenta, inoltre, che la mancata acquisizione della perizia dell’ATP in sede penale ha comportato l’irragionevole dispersione di un mezzo di prova a discapito dell’imputato. Infine, in ogni caso, il giudice avrebbe potuto e dovuto acquisire la perizia ai sensi dell’art. 507 c.p.p.

Preliminarmente gli Ermellini evidenziano che a seguito della declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, stante la costituzione delle parti civili nel processo, è preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, esaminare il fondamento dell’azione civile e verificare, senza alcun limite, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno la condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunciate nei precedenti gradi.

Il ricorso risulta fondato nel secondo motivo di ricorso con valore assorbente rispetto al primo motivo.

E’ decisivo il comportamento del Pediatra nelle date del 23 gennaio e del 28 gennaio 2013.

Il giorno 23 la situazione del bambino era peggiorata, non riusciva a riposare bene la notte a causa della tosse persistente, e non era più andato a scuola; la sera del 27 gennaio la febbre era salita a 38 e la mattina del giorno successivo il Pediatra, recatosi al domicilio, aveva invece continuato a prescrivere, dopo avergli auscultato le spalle e il torace senza misurargli la febbre, il Seki e l’Hederix, che, come aveva avuto modo di constatare, non gli era stato sin lì somministrato con regolarità. La mattina successiva, come si è detto, il piccolo veniva trovato morto nel letto.

Il ragionamento della Corte d’appello si focalizza sul comportamento serbato dal ricorrente proprio in data 23 gennaio. E’ in relazione a tale momento che la Corte di merito sostiene si sia realizzata la negligenza e la imperizia del ricorrente “rivelatasi determinante nella verificazione dell’evento mortale”. Sul punto così argomenta: “il 23 gennaio, quando la mamma lo avvisò telefonicamente del peggioramento delle condizioni del figlio (che, infatti, da quel giorno non andò più a scuola, come documentato), l’imputato non solo non visitò il bambino, ma continuò ad insistere con gli stessi medicinali senza prescrivere né una terapia antibiotica, che, indipendentemente dalla presenza di febbre, sarebbe stata opportuna anche solo in un’ottica preventiva, né una radiografia o altro esame diagnostico, mirante ad approfondire le cause di una situazione patologica che a quel punto – era in atto da ben dodici giorni. E’ dunque proprio questo il momento nel quale – come rilevato anche nella sentenza impugnata si è esplicata la condotta colposa rivelatasi poi determinante nella verificazione dell’evento mortale”.

Ebbene, il ragionamento seguito dalla Corte contiene lacune e contraddizioni: la condotta negligente ed imperita, infatti, non può fondare ex se l’addebito di responsabilità, essendo necessario verificare che essa si sia innestata sul decorso causale, determinando o contribuendo a determinare l’evento.

Non è sufficiente, ai fini dell’affermazione della responsabilità in materia di reati colposi, determinare i contorni di un comportamento corrispondente alla violazione di una norma cautelare, ma è necessario che tale violazione si innesti sul decorso causale determinando il tipo di evento che la norma violata mira a scongiurare.

In relazione al ragionamento controfattuale la motivazione offerta dalla Corte di merito è perplessa nella parte in cui ritiene di addivenire all’affermazione di responsabilità dell’imputato, pur prendendo atto che i periti d’ufficio, tanto nell’elaborato scritto quanto nel corso della loro audizione, hanno affermato di non potere ragionevolmente escludere “che la polmonite batterica che il 29 gennaio 2013 provocò la morte del bambino non fosse ancora insorta quando, la mattina precedente, il Pediatra lo visitò, e che non vi sono certezze in merito al fatto che, ove questi avesse in quell’occasione, prescritto una terapia antibiotica, non si sarebbe comunque verificato l’evento mortale”.

Ebbene, a parte la considerazione che il giorno 23 gennaio, come risulta dal registro scolastico il bambino si recava a scuola, rimane del tutto sfornito di logico sostegno l’assunto della capacità salvifica del comportamento doveroso individuato: non si dice se i sintomi presenti all’epoca fossero in grado di indurre il Pediatra ad ipotizzare la malattia che determinò la morte e se l’adozione dei rimedi ipotizzati potesse scongiurare l’evento, tanto più che, soltanto poche righe prima,  la stessa Corte di merito, proprio con riferimento alla condotta serbata in data 23 gennaio, si è espressa in termini di “opportunità” e di finalizzazione “preventiva” della somministrazione dell’antibiotico.

La sentenza impugnata viene annullata agli effetti civili, con rinvio al Giudice competente.

Avv. Emanuela Foligno

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