Alla partoriente non venivano rilevati con tempestività i sintomi dell’emorragia post partum.
La Suprema Corte ha affermato che, in presenza di situazioni ad alto rischio, il medico deve monitorare attentamente il paziente dopo l’intervento chirurgico, pur in mancanza di specifici segnali di allarme (Cassazione Penale, sez. IV, dep. 3 aprile 2024, n. 13375).

La vicenda

La Corte di Appello di Salerno ha ritenuto responsabili il Medico e l’Ostetrica dell’Ospedale di Salerno per il reato di omicidio colposo della partoriente causato da emorragia post partum da atonia uterina.

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per l’intervenuta prescrizione del reato contestato e ha affermato il principio di diritto secondo cui “in presenza di situazioni ad alto rischio, il medico, pur in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso e, in particolare, a disporre un attento regime di monitoraggio della paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli onde evitare eventi lesivi”.

Ai due imputati è stata contestata la gestione ed il monitoraggio della paziente nelle prime ore successive al parto (avvenuto il 16/1/2012) per non avere essi accuratamente osservato le condizioni cliniche della donna attraverso la verifica dei parametri di pressione arteriosa, frequenza cardiaca, contrazione dell’utero, livelli di emoglobina nel sangue, che avrebbero consentito una precoce diagnosi dell’emorragia.

Il ricorso in Cassazione

In Cassazione, il Medico invoca il principio di affidamento ed evidenzia la sua condotta come corretta in quanto, dopo l’intervento, ha proceduto a un passaggio di consegne al collega di reparto. Secondo la tesi del ricorrente, non si sarebbe trattato di un’azione di équipe medica, come sostenuto erroneamente dai Giudici di merito, ma di interventi da parte di più sanitari, svincolati l’uno dall’altro, che avrebbero assunto il carattere della eccezionalità e della imprevedibilità. Ragionando in tal senso, andava applicato il principio di affidamento, e non quello di responsabilità dell’equipe, per cui risponde dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento, o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’errore di vigilanza in un obbligo di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari.

Oltre alla responsabilità di équipe, il sanitario ritiene omesso il giudizio controfattuale rispetto alla patologia post-operatoria, ovverosia se la donna si sarebbe salvata qualora avesse effettuato i controlli finalizzati ad una diagnosi precoce per scongiurare il rischio di uno sviluppo infausto della emorragia.

Il giudizio della Corte di Cassazione

L’obbligo di garanzia è rappresentato da un dovere di diligenza che si sostanzia nella necessita di fornire, in particolare per il chirurgo che ha eseguito l’intervento, specifiche indicazioni post-operatorie per uno scrupoloso monitoraggio post partum della paziente. Ciò significa che il Medico che esegue l’intervento è gravato da una posizione di garanzia che si estende anche al decorso post-operatorio

A maggior ragione, calando tale principio al caso concreto, essendo la paziente ad alto rischio di complicanze ed essendo stato eseguito il taglio cesareo in una zona più alta dell’utero (poiché quinto parto cesareo), la donna si trovava maggiormente esposta al rischio di atonia uterina e alla conseguente emorragia. Difatti la sede del taglio cesareo è maggiormente vascolarizzata, comporta una maggiore perdita ematica nell’immediato e complicazioni successive, e dunque il Medico operante non poteva ignorare tali circostanze solo perché la donna veniva poi seguita dal collega di reparto.

Nel caso di specie, proprio perché al quinto parto cesareo, la donna si trovava maggiormente esposta al rischio di atonia uterina e alla conseguente emorragia, e dunque il dovere di diligenza di medico e ostetrica doveva essere più pregnante. Il corretto monitoraggio della paziente (attraverso il controllo della pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, gli esami ematochimici, la palpazione dell’addome) avrebbe consentito la precoce diagnosi della atonia ed un intervento tempestivo per fermare l’emorragia.

Avv. Emanuela Foligno

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