Non vi sono profili di negligenza nella prestazione sanitaria essendo le complicanze insorte conseguenze statisticamente correlate alla tipologia di intervento (Tribunale di Roma, Sentenza n. 8681/2021 del 19/05/2021 – RG n. 76170/2015)

La paziente cita a giudizio 3 Medici e la Struttura di Cura chiedendo l’accertamento della responsabilità per l’errata prestazione professionale medica resa nei propri confronti e la condanna al risarcimento dei danni subiti, quantificati in euro 48.538,00. Deduce l’attrice che essendo affetta da ernia lombare diagnosticatale nel 2004, in data 29.03.2011 si era ricoverata presso la Casa di Cura, ove, a seguito di visita neurochirurgica e di diagnosi di “ernia del disco intervertebrale”, era stata sottoposta, in data 1.04.2011, ad intervento chirurgico per l’asportazione dell’ernia; l’intervento di discectomia non era stato eseguito correttamente, essendo residuato un frammento del disco, che, nei giorni successivi all’intervento, aveva compresso la radice L5 destra e determinato la necessità di esecuzione di un secondo intervento di revisione, eseguito in data 6.04.2011.

Evidenzia la paziente che il secondo intervento chirurgico, eseguito in assenza di raccolta del consenso informato era stato complicato da una lesione iatrogena intraoperatoria della dura madre, che aveva determinato la formazione di una fistola liquorale; a causa di tale complicanza veniva ricoverata in data 13.04.2011, ove riscontravano la “persistenza di tessuto discale con associata estesa quota fluida per fistola liquorale”.

Sostiene, quindi, che a causa di tali errati comportamenti residuavano postumi permanenti consistenti in “sindrome da ipotensione liquorale cronica pauci sintomatica da persistenza del tramite fistolare”, “organizzazione corpuscolata in sede lombare interfasciale della pregressa raccolta liquorale”, “lesione compressiva delle componenti radicolari lombari sx da L4 a S1” e “disturbo post-traumatico da stress cronico di entità moderata”, idonei a configurare un danno biologico permanente pari al 26%.

La causa viene preceduta dal giudizio di ATP con il quale veniva accertata la responsabilità professionale dei convenuti.

La causa viene istruita attraverso l’acquisizione del fascicolo dell’ATP e nuova consulenza Medico-Legale.

La CTU, ha consentito di accertare la correttezza dell’approccio terapeutico e la correttezza dell’esecuzione degli interventi chirurgici.

In particolare i CTU hanno rilevato che “la diagnosi di lombosciatalgia acuta destra con riscontro RM di protrusione anulare mediana-paramediana destra, formulata all’atto del ricovero risulta corretta. L’indicazione all’intervento chirurgico di microdiscectomia risulta congrua in relazione alla constatata inefficacia dei trattamenti conservativi di natura farmacologica e fisica lungamente effettuati ed al carattere di sciatica iperalgica L5, associata a segni radicolari irritativi e deficitari L5 a destra. Quindi, l’indicazione chirurgica (discectomia) appare corretta e l’intervento stesso, come si evince dalla descrizione dell’atto operatorio, risulta correttamente praticato in rapporto alle procedure operatorie previste dalle leges artis. Nella descrizione dell’atto operatorio, eseguito con preliminare repere radiologico per lo spazio L4 -L5, viene rilevata la radice nervosa completamente bloccata da un’ernia discale parzialmente espulsa. Opportuna, quindi, è da ritenersi la procedura di discectomia e toilette dello spazio intersomatico con tecnica microchirurgica. Dopo il primo intervento dell’1.4.2019, si è constatata la fluttuazione della sintomatologia dolorosa preoperatoria che poneva il sospetto di patologia radicolare non completamente risolta. La RMN del 4.4.2011 evidenziava, infatti, un frammento discale a livello del recesso laterale di destra di L5 (<<in sede paramediana posteriore destra, tessuto ipodenso privo di enhancement di tipo discale>>). Il frustolo discale rilevato strumentalmente rappresenta una recidiva – in fase precoce post -chirurgica – di ernia discale. Trattasi di possibile nota complicanza della chirurgia discale e, segnatamente, della tecnica di microdiscectomia, prontamente identificata dai Sanitari e risolta mediante tempestiva revisione chirurgica. All’intervento di revisione è seguita una fase miglioramento clinico, con ricomparsa della sintomatologia dolorosa in terza giornata, questa volta con carattere di bilateralità a distribuzione L5 e segni di compressione radicolare bilaterale (Laségue bilat erale). All’esame RMN effettuato (11.4.2011) era rilevata a livello L4 -L5 nella sede chirurgica la persistenza di tessuto discale con associata estesa quota fluida come per fistola liquorale post -chirurgica. Una EMG, eseguita in data 11.4.2011, non rilevava un danno radicolare in atto (assenza di elementi irritativi denervativi a riposo). La fistola liquorale da durotomia incidentale costituisce possibile evenienza nelle procedure di discectomia lombare, con frequenza del 3,5% nelle procedure primarie e del l’8,5% nelle procedure di revisione… La mancata segnalazione della microlesione durale nel corso dell’ intervento di revisione è verosimilmente indicativa del fatto che i Chirurghi non abbiano rilevato alcuna fuga liquorale durante la procedura operatoria. In tale evenienza avrebbero fatto ricorso a materiale sigillante come il tissucolo colla di fibrina per chiudere il foro durale. La formazione di uno pseudomeningocele post -operatorio (RMN dell’11.4.2011) testimonia la presenza di una minima lacerazione durale, non determinante una fuga di liquor apprezzabile durante la procedura chirurgica. E’ probabile che la formazione dello pseudomeningocele sia avvenuta nel post -operatorio, particolarmente in seguito alla mobilizzazione della paziente ed al recupero dell’ortostatismo. La mobilizzazione della paziente è prudenzialmente avvenuta dopo 48 ore dall’intervento e non in prima giornata (come nella prima procedura chirurgica), trattandosi di intervento di revisione e risultando documentata alla RMN del 4.4.2011 una evidente radicolite (ispessimento della radice di destra di L5). In tal caso, l’aumento della pressione idrostatica della colonna liquorale può aver determinato la fistola, nella cui formazione ha certamente concorso una condizione meiopragica locale del sacco durale in rapporto alle ripetute manipolazioni chirurgiche nella stessa sede anatomica. Questa ipotesi è suffragata dalla comparsa della sintomatologia relativa alla fistola liquorale in data 9.4.2011, ovvero in terza giornata post -intervento di revisione e dopo prolungato ortostatismo”.

“L’intervento di discectomia L4 -L5, è stato eseguito correttamente”.

“La comparsa di recidive costituisce un’eventualità probabile e nella fattispecie non ascrivibile a responsabilità medica. Trattasi di possibile nota complicanza della chirurgia discale e, segnatamente, della tecnica di microdiscectomia, che si presenta con frequenza del 5% circa dei casi, dovuta alla inadeguata funzione di contenimento del legamento longitudinale posteriore ed in particolare dell’annulus fibroso, la cui alterazione è il primum movens della formazione della porta erniaria. Il trattamento della complicanza eseguito è stato tempestivo ed appropriato ed anche l’intervento di revisione risulta correttamente eseguito. La fistola liquorale post -chirurgica a livello L4 -L5, evidenziata all’esame RMN effettuato (11.4.2011), in assenza di fuga liquorale apprezzabile durante la procedura chirurgica, è in tutta probabilità ascrivile a durotomia incidentale , possibile evenienza nelle procedure di discectomia lombare, con frequenza del 3,5% nelle procedure primarie e dell’8,5% nelle procedure di revisione. L’aumento della pressione idrostatica della colonna liquorale può aver determinato la fistola, nella cui formazione ha certamente concorso una condizione meiopragica locale del sacco durale in rapporto alle ripetute manipolazioni chirurgiche nella stessa sede anatomica”.

In risposta alle osservazioni critiche, i CTU hanno specificato che: “Mark S. Greenberg nel testo intitolato Handbook of Clinical Neurosurgery, Thieme New York -Stuggart, ottava edizione anno 2016, riferisce che l’apertura durale non intenzionale (“unintended durotomy”) rappresenta una comune complicanza degli interventi di chirurgia spinale lombare con incidenza 0,3 – 13%. Il rischio di durotomia aumenta al 18% nei reinterventi come nel caso che ci occupa. Questa apertura durale non intenzionale può essere dovuta ad assottigliamento della dura madre in presenza di una stenosi ossea, oppure ad un ripiegamento della dura nascosto sotto il contorno osseo della lamina o ad aderenze durali che rappresentano l’ esito cicatriziale di infiammazione in presenza di materiale discale erniato. Il Greenberg esclude un profilo di malpractice in queste evenienze. Quando l’apertura indesiderata della dura è evidente, il chirurgo può suturarla con punti non riassorbibili, rafforzando la zona suturata con colla di fibrina. Alcuni usano un pezzo di grasso autologo o di muscolo per tappare la deiscenza durale o ricorrono ad un’attenta sutura del piano muscolare, fasciale e cutaneo, seguita – nel decorso postoperatori o – dal mantenimento del decubito a letto in posizione di Trendelemburg per abbassare la pressione liquorale nella ferita chirurgica. Altri Autori inseriscono un drenaggio spinale a monte della discontunità durale, cioè ad un livello spinale superiore…Nella fattispecie la durotomia è stata complicata da pseudomeningocele in assenza di fenomeni compressivi radicolari. La complicanza non è stata immediata e cioè nel tempo perioperatorio; in tal caso i chirurghi avrebbero prontamente chiuso la discontinuità durale e controllato la fuga di liquor, a seguito di sutura plastica durale, con l’applicazione, da parte dell’anestesista di una pressione positiva espiratoria, analogamente alla manovra di Valsalva, evocatrice di una ipertensione liquorale istantanea. Invece lo pseudomeningocele si è manifestato nel decorso postoperatorio, a seguito dell’assunzione, dopo il periodo di riposo a letto nelle prime 24 ore del decorso postoperatorio, della stazione eretta da parte della paziente con il consensuale aumento della pressione idrostatica del liquor e sua fuoriuscita attraverso la dura madre”.

“Non si ravvisano, pertanto, elementi di maggior danno rispetto a quelli previsti in analoga fattispecie con normale decorso. Si esclude, infatti, anche strumentalmente, un’attività denervativa in atto nonché segni di danno neurogeno cronico imputabile ad esiti di erroneo trattamento chirurgico. Attualmente la periziata risulta portatrice di una lombalgia cronica, di carattere comunque non invalidante, normalmente prevista a seguito di interventi di chirurgia decompressiva discale, la quale – pur riducendo l’intensità dei sintomi – non può ottenere la completa guarigione clinica, stante la natura essenzialmente cronico – degenerativa della patologia discale… Di conseguenza, non sussiste alcuna componente di maggior danno di natura somatica e/o psichica clinicamente significativa”.

Dalle considerazioni esposte dai CTU il Tribunale evidenzia l’assenza di profili di negligenza nella prestazione sanitaria eseguita dei medici convenuti – essendo le complicanze insorte conseguenze statisticamente correlate, con un percentuale statisticamente rilevante, alla tipologia di intervento ed essendosi la seconda complicanza probabilmente verificata nel periodo postoperatorio – e, per altro verso, l’assenza di postumi apprezzabili al momento dell’esecuzione delle operazioni peritali.

Viene condivisa, pertanto la CTU espletata nel grado, a discapito di quella eseguita nella fase di ATP, e la relativa domanda risarcitoria viene respinta.

Sul consenso informato, il Tribunale richiama i principi giurisprudenziali secondo cui grava sul medico l’obbligo di informare adeguatamente il paziente in modo completo ed esaustivo, fornendo tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità e rischi .

I convenuti, al riguardo, non hanno provato di avere adeguatamente informato la paziente dei rischi connessi all’intervento.

Infatti, nella cartella clinica del ricovero del 31.03.2011 , vi è un modulo di consenso informato, datato 1.04.2011, relativo all’intervento di erniectomia, che non descrive i rischi e le complicanze connesse all’intervento. Tale documento è inidoneo a informare esaustivamente il paziente.

Inoltre, del tutto assente il modulo di consenso informato inerente il secondo intervento chirurgico.

Viene, pertanto, ritenuto provato che l’attrice ha subito una lesione al suo diritto all’autodeterminazione, con conseguente diritto alla somma equitativamente stabilita in euro 10.000,00.

La responsabilità risarcitoria per la lesione di tale diritto viene addebitata in via solidale nei confronti dell’attrice, e con ripartizione al 50% nei rapporti interni tra coobbligati.

Concludendo, Il Tribunale di Roma, accoglie parzialmente la domanda attrice e, per l’effetto, condanna il primo medico operatore e la Casa di Cura al pagamento della somma di euro 10.000,00, oltre danno da ritardato pagamento ; respinge per il resto la domanda attorea; accerta la responsabilità del primo medico operatore e della Casa di Cura in misura pari al 50% ciascuno, relativamente al lato interno dell’obbligazione; condanna i convenuti in solido, a rimborsare le spese di lite sostenute dalla parte attrice, che liquidate in euro 3.500,00 , oltre spese generali e accessori; compensa integralmente tra la parte attrice e le altre parti convenute le spese di giudizio; pone le spese di CTU definitivamente a carico dei convenuti in solido.

Avv. Emanuela Foligno

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