Respinto il ricorso degli eredi di un motociclista morto nelle more del giudizio intentato per ottenere il ristoro del danno riportato dopo essere stato investito da un’auto

Mentre era alla guida di un motociclo era stato investito da una vettura che aveva invaso la sua corsia. Il centauro aveva quindi agito in giudizio nei confronti della conducente del veicolo per ottenere il risarcimento del danno in relazione alle lesioni riportate. L’attore, tuttavia, era morto nelle more del giudizio di primo grado per altro e diverso incidente, cosi che la causa era stata proseguita dai suoi eredi.

Il giudice di prime cure aveva riconosciuto la esclusiva responsabilità del convenuto condannandolo in solido con la compagnia assicurativa al risarcimento di circa 125 mila euro per danni alla persona e spese mediche. La corte di appello, adita dall’Assicurazione, aveva confermato l’esclusiva responsabilità dell’automobilista, ma aveva ridotto l’ammontare del risarcimento in favore dell’investito a poco meno di 24 mila euro. Alla base della decisione l’applicazione di un criterio ormai consolidato di risarcimento del danno, secondo cui se il danneggiato muore nelle more del processo per cause diverse dal fatto lesivo oggetto di giudizio, come nel caso in esame, il risarcimento del danno non patrimoniale non va commisurato sulla probabilità di vita che gli rimaneva, statisticamente valutata, ma va commisurato alla vita effettivamente vissuta.

Gli eredi della vittima, tuttavia, avevano proposto ricorso per cassazione contestando, tra gli altri motivi, l’erroneo ricorso, quale criterio per la liquidazione del danno, alle tabelle milanesi – peraltro, a loro dire, quelle vecchie al momento della decisione, già sostituite da altre più aggiornate –  anziché il più equo criterio romano di calcolo del danno in caso di premorienza.

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 9723/2020 ha però ritenuto di respingere il ricorso in quanto infondato.

I Giudici Ermellini hanno chiarito che i criteri di stima del danno non patrimoniale (di per sé difficilmente stimabile) al di fuori dei casi in cui esistono parametri legislativi, non sono criteri vincolanti, nel senso che il giudice di merito ha discrezionalità nel seguire l’uno o l’altro criterio di liquidazione, senza che possa contestarsi alla stima prescelta di non essere soddisfacente pienamente da un punto di vista risarcitorio, dal momento che il risarcimento del danno non patrimoniale (biologico o morale che sia) non ha funzione risarcitoria, non può averla in ragione della difficoltà di stima di tale danno, e della inesistenza di valori di mercato dei relativi beni (salute, serenità morale ecc.).

Ciò premesso è evidente – sottolineano – che nell’ipotesi considerata la corte di merito, con criterio di fatto non censurabile in Cassazione aveva ritenuto di stimare il danno biologico patito durante il periodo vissuto moltiplicando l’invalidità permanente, si, per la speranza di vita (60 anni ancora), ma poi dividendo il risultato ottenuto per gli anni effettivamente vissuti (4). La scelta del criterio è stata motivata dalla corte, ed è compatibile con la finalità di risarcire il danno alla persona non per la durata di probabile vita futura, ma per la durata di vita effettiva.

Non può in sostanza censurarsi – concludono i Giudici di Piazza Cavour – il ricorso al criterio di liquidazione di un danno, di per sé non stimabile oggettivamente, se non attraverso il difetto di motivazione, o la violazione di criteri legali di stima quando vi siano. Del resto, la censura del ricorrente mirava ad una maggiore personalizzazione del risarcimento, ma senza indicare quali fossero le condizioni e le circostanze che avrebbero dovuto indurre ad una tale personalizzazione nel senso auspicato.

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