Melanoma maligno spalla sx e tardiva diagnosi(Cassazione civile, sez. III, 13/04/2023, n.9889).

Tardiva diagnosi di melanoma maligno per omesso esame istologico.

Veniva convenuta a giudizio L’ASL Napoli Centro per i danni patiti in conseguenza del decesso della paziente avvenuto a causa di un melanoma maligno, causalmente riconducibile alla negligente condotta del Medico che dopo avere asportato un neo sanguinante sulla spalla sinistra della paziente, ometteva di sottoporre tale reperto ad esame istologico.

Il Tribunale di Napoli, sulla scorta della espletata CTU medico-legale che escludeva il nesso di causalità tra la condotta, pur negligente, del Medico e l’evento lesivo, rigettava la domanda.  

La Corte d’Appello di Napoli, dopo aver disposto l’espletamento di nuova CTU, rigettava il gravame. In particolare, i Giudici del gravame, a fondamento della decisione di rigetto della domanda inerente il lamentato ritardo diagnostico, riteneva che non sussistesse il nesso di causalità tra tale condotta e la probabilità di ottenere, da parte della paziente, un risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno. Pertanto, sulla scorta del giudizio controfattuale condotto alla luce delle due CTU veniva escluso che “l’omessa corretta diagnosi avesse cagionato la perdita della chance di prolungare la vita della paziente, perché risultava più probabile che non, che il neo escisso non fosse il melanoma che aveva originato la patologia oncologica e che in ogni caso, se pure fosse stato un melanoma non esistevano, all’epoca dei fatti, cure in grado di offrire chance di maggiore sopravvivenza, anche per un melanoma ai primi stadi”.

La decisione di secondo gravo viene impugnata dai congiunti della paziente che ritengono errata la distribuzione degli oneri probatori come effettuata dai Giudici di merito in quanto non sarebbe onere della parte danneggiata provare la sussistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta del sanitario e il danno lamentato.

I ricorrenti, in sintesi, sostengono che la Corte territoriale avrebbe dovuto fare applicazione dei principi giurisprudenziali secondo i quali spetterebbe alla parte attrice fornire la prova della sussistenza del contratto atipico di spedalità e della facile esecuzione dell’intervento, mentre spetterebbe alla struttura sanitaria, e al medico, provare che il danno sia derivato da un evento imprevedibile e inevitabile; il mancato assolvimento di tale onere probatorio, dunque, implicherebbe di per sé la prova del nesso di causalità.

Le censure non trovano accoglimento.

I ricorrenti basano le loro censure in aderenza alla elaborazione giurisprudenziale risalente che operava una differenziazione del regime probatorio applicabile a seconda che l’obbligazione fosse qualificabile “di mezzi” ovvero “di risultato”. In tale ottica venivano distinte le prestazioni sanitarie routinarie, da quelle difficoltose, in quanto si riteneva che oggetto della obbligazione sanitaria fosse il raggiungimento del risultato favorevole, ragionevolmente atteso data la semplicità tecnica della prestazione. Da ciò conseguiva, sul piano probatorio, che il mancato raggiungimento del risultato favorevole (guarigione e/o non aggravamento della patologia) determinasse, a sfavore del sanitario, l’insorgenza di una presunzione non soltanto di colpa (si presumeva la violazione di una norma cautelare, avente natura generica o specifica), ma anche in relazione alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta negligente e l’evento di danno.

E’ evidente, pertanto, che non sia stata tenuta in considerazione l’evoluzione giurisprudenziale della materia che, dapprima, ha unificato la disciplina probatoria in materia di responsabilità contrattuale, in generale (Cass., S.U., n. 13533/2001), e poi ne ha individuato degli elementi di specialità in materia di responsabilità medica, in particolare.

Ebbene, la Suprema Corte da continuità ai più recenti indirizzi (Cass. n. 18392/2017 e, successivamente, Cass. n. 28891/2019 e Cass. n. 28892/2019), secondo i quali, in sede di accertamento della responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera o del sanitario (per quest’ultimo, in riferimento ai fatti antecedenti alla L. 8 marzo 2017, n. 24, cd. Legge Gelli-Bianco: cfr. Cass., S.U., n. 28994/2019), in caso di inesatto adempimento della prestazione medica, spetta al danneggiato fornire la prova del contratto e del nesso di causalità materiale tra il predetto inadempimento e l’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie), restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente o che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

In materia di responsabilità contrattuale medica, il danno e la sua eziologia sono oggetto del fatto costitutivo del diritto al risarcimento ex art. 2697 c.c., con l’epilogo che le conseguenze sfavorevoli, in caso di mancato assolvimento di tale onere, gravano sull’attore.

La Corte di Napoli ha pertanto fatto corretta applicazione dei principi governanti la materia avendo onerato i danneggiati di provare che la condotta inadempiente del medico fosse “causa più probabile che non” dell’evento lesivo a carico della paziente.

Ad ogni modo, sottolineano gli Ermellini, la Corte territoriale non ha rigettato la domanda sul brocardo di cui all’art. 2697 c.c., bensì in forza della accertata insussistenza, attraverso 2 CTU medico-legali,  del nesso di causalità materiale tra la condotta del sanitario e l’evento di danno, affermando che “è risultato “più probabile che non” che il neo escisso  non fosse il melanoma che aveva dato origine alla patologia oncologica letale e che, in ogni caso, se pure fosse stato un melanoma non esistevano, all’epoca di fatti, cure in grado di offrire chance di maggiore sopravvivenza, anche per un melanoma ai primi stadi”.

Il ricorso viene rigettato con condanna alle spese di giudizio.

OSSERVAZIONI

Interessante nella decisione a commento il raffronto tra il solco giurisprudenziale previgente, che distingueva il regime probatorio applicabile a seconda che l’obbligazione fosse qualificabile “di mezzi” ovvero “di risultato”. Il suddetto indirizzo distingueva, conseguentemente, le prestazioni sanitarie routinarie, da quelle difficoltose, partendo dal presupposto che dalla obbligazione sanitaria dovesse derivare il raggiungimento “del risultato favorevole” riguardo alla “semplicità” della prestazione. Da ciò conseguiva, sul piano probatorio, che il mancato raggiungimento del risultato favorevole (guarigione e/o non aggravamento della patologia) determinasse, a sfavore del sanitario, l’insorgenza di una presunzione non soltanto di colpa (si presumeva la violazione di una norma cautelare, avente natura generica o specifica), ma anche in relazione alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta negligente e l’evento di danno.

Il lavorìo giurisprudenziale successivo, ha invece chiarito che spetta al paziente danneggiato fornire la prova del contratto e del nesso di causalità materiale tra il lamentato inadempimento e l’aggravamento della situazione patologica, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente, o che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

Interessante, infine, anche il richiamo alla norma di cui all’art. 2697 c.c. inerente il “cardine” del processo di cognizione, ovverosia che il diritto fatto valere in giudizio deve essere fornito di adeguata prova.

Avv. Emanuela Foligno

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771

Leggi anche:

Decesso del paziente: respinta la domanda per mancanza del certificato storico di famiglia

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui